articolo su Napoli Monitor: LA VICENDA STELLA MARIS e LA BANALITA’ (DEL MALE) NELLE ISTITUZIONI TOTALI
"Banalità del male e istituzioni totali. Il processo per violenze su persone disabili a Pisa"
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LA VICENDA STELLA MARIS e LA BANALITA’ (DEL MALE) NELLE ISTITUZIONI TOTALI
Presso
il tribunale di Pisa si sta svolgendo il processo per i
maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia, in
provincia di Pisa, gestita dalla fondazione Stella Maris. Nell’estate
del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane ospite,
la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di
microcamere. Dopo tre mesi di intercettazioni la procura di Pisa ha
configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti basandosi sui
materiali video accumulati.
I genitori, i tutori e altri
testimoni già ascoltati dal tribunale hanno riportato le violenze
subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle
videoregistrazioni: 284 episodi in meno di tre mesi , una violenza –
quindi – non occasionale ma strutturale. L’Istituto scientifico –
Ospedale specializzato – Centro di assistenza Stella Maris si
occupa di assistenza e cura dei disturbi e delle disabilità
dell’infanzia e dell’adolescenza. Di fatto è un’istituzione
privata convenzionata con il pubblico, gestita dalla Curia di San
Miniato e finanziata con soldi pubblici (milioni di euro l’anno)
dalla Regione Toscana, che nonostante la gravità degli abusi non ha
ritenuto opportuno costituirsi come parte civile al processo.
Tra gli ospiti della struttura di Montalto di Fauglia ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento in seguito al blocco della glottide dovuto alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia non è mai stata informata. Per questa vicenda è in corso un altro procedimento penale e il processo in primo grado non ha individuato alcuna responsabilità da parte dei medici e della struttura.
Il processo per maltrattamenti sta andando avanti da più di cinque anni con estrema lentezza: le udienze sono troppo diradate se si considera l’elevatissimo numero di persone invitate a testimoniare. Si tratta, infatti, del più grande processo per violenze su persone con disabilità in Italia. Al momento gli imputati sono 15. Tra essi figurano anche le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale Roberto Cutajar che, avendo scelto il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi di reclusione e poi è stato assolto nel processo d’appello.
Come ha scritto nella sua relazione il consulente tecnico, professor Alfredo Verde, chiamato a relazionare sui fatti avvenuti: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “Una violenza così evidente richiama la possibilità di ipotizzare che altre violenze si siano verificate in contesti meno pubblici”. “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e l'istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo”.
La relazione tecnica afferma inoltre che “il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali in cui non solo gli ospiti vengono puniti, ma la punizione viene anche irrogata in una situazione di estrema visibilità (come per esempio il refettorio), in cui gli ospiti assistono silenziosi e acquiescenti al trattamento subito dai compagni: una sorta di teatro”. Afferma ancora il professor Verde: “Il pensiero istituzionale presuppone, implica e giustifica la violenza, che può essere manifesta o anche solo accennata, assumendo quindi anche una funzione simbolica”.
Dal
punto di vista della relazione tecnica, quello che è successo nella
struttura gestita dalla Stella Maris diventa allora emblematico
dei dispositivi coercitivi e degradanti insiti in questa tipologia di
strutture, dove frequentemente le persone, ridotte a oggetti,
diventano il bersaglio di violenze e sopraffazioni quotidiane. Luoghi
dove la contenzione fisica e farmacologica è
spesso consuetudine
e
dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali.
Riteniamo
sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così
estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta
quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”,
tecnici e operatori, assistenti ed educatori. Ci piacerebbe partire
da qui, dal sistema di omertà che sorregge questi abusi. In nessun
caso la carenza di personale e di strutture può
giustificare il ricorso a pratiche violente e coercitive. Anche le
argomentazioni
dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o
delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei
reparti o nelle strutture, devono
essere respinte poiché fondate
sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della
“pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per
formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate
come malate mentali a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle
cose e corrisponda al loro stesso benessere,
senza chiedere mai cosa ne pensino i diretti interessati.
Il problema dunque è superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Nel momento in cui riproduci le stesse pratiche (l’isolamento, la contenzione meccanica e farmacologica, l’obbligo di cura), la logica dell’istituzione totale si riproduce e si diffonde fino ai reparti, alle strutture e alle residenze sanitarie come quella di Montalto di Fauglia: se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio. Un concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane, contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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