COME
SE FOSSE UNA COSA NORMALE
In
attesa della prossima udienza in programma il prossimo 14 maggio,
abbiamo fatto alcune riflessioni sull'andamento del processo che
seguiamo da circa un anno.
Abbiamo
impiegato un po' di tempo per rimettere a posto le idee, dopo aver
assistito all'ennesima udienza (per intenderci, quella dello scorso
martedì 12 marzo) del processo sui maltrattamenti ai ragazzi con
disabilità ospiti della struttura di Montalto di Fauglia (Pisa)
della Stella Maris. Terminato l'interrogatorio di operatori e
operatrici è stato il turno delle dottoresse, Paola Salvadori
(ascoltata nel corso della precedente udienza) e Patrizia Masoni.
Proprio le parole di Masoni
sono quelle che ci hanno fatto più riflettere. Per il loro
contenuto, certo. Ma, forse, ancora di più, per la pretesa di
neutralità, di naturalità con cui sono state pronunciate.
Ha dichiarato la dottoressa
Masoni, psichiatra e responsabile dell'IRM (l’Istituto di
riabilitazione, l'altra struttura dipendente dalla Stella Maris,
accanto alla struttura residenziale), che a Montalto di Fauglia
venivano usati, in caso di crisi degli ospiti, i cosiddetti "tappeti
contenitivi”. Come se fosse una cosa normale, appunto, la
dottoressa ha ribadito e meglio specificato uno dei punti più oscuri
emerso già anche dalle testimonianze di altri operatori. Quando
qualcuno degli ospiti diventava particolarmente irascibile e
ingestibile veniva giocata la carta del tappeto contenitivo.
Nella triste logica della
contenzione, che ha giustificato e giustifica tuttora metodi,
violenti e irrispettosi della dignità umana, di inibizione, di
immobilizzazione, di privazione anche assai prolungata dell’uso del
corpo (corde, camicie di forza, cinghie, cinture, stanze chiuse a
chiave, contenzione farmacologica), la vicenda maltrattamenti alla
Stella Maris riesce a conquistarsi un posto di tutto rispetto.
Il tappeto contenitivo funziona
in un modo semplice e in un certo senso prevedibile: il paziente
viene immobilizzato e arrotolato nel tappeto.
Al presidio di Fauglia, ci
ricorda la dottoressa, l'idea del tappeto contenitivo comincia a
prendere piede dopo che un non meglio identificato dottore americano
ne aveva consigliato l’uso nel corso di un convegno di studi,
esaltandone gli innegabili effetti pratici e il fatto che «questo
tipo di pazienti non gradisce il contatto fisico» (sempre secondo le
parole della dottoressa, qui citate letteralmente). L'altra
tutt'altro che condivisibile motivazione a favore del tappeto
contenitivo indicata dal medico americano era che il tappeto avrebbe
consentito di avere meno problemi con le famiglie in caso di crisi
dei pazienti. Ha affermato testualmente la dottoressa Masoni: «il
medico ci aveva detto: ma voi in Italia non avete problemi con le
assicurazioni quando i vostri pazienti si fanno male o tornano a casa
con i lividi? Da noi il tappeto evita molte di queste
problematiche...». E così, negli anni 2008-2009, ascoltando le
parole di questo medico e presumibilmente senza accertarsi della loro
veridicità e dell'effettiva possibilità di praticare una simile
contenzione in Italia, anche le dottoresse della Stella Maris
avrebbero cominciato a utilizzarlo nella struttura, anche se
solamente nel 2014 la Regione Toscana lo avrebbe inserito tra gli
strumenti contenitivi accreditati. Questo sempre secondo le parole
della dottoressa Masoni: ma, al momento, a noi non risulta che questo
metodo sia stato mai accreditato da nessuno, tanto meno dalla Regione
Toscana. Tra l'altro gli accreditamenti dovrebbero, in ogni caso,
passare dalle Unità sanitarie locali.
Nel frattempo, nella struttura
si faceva di necessità virtù. All'inizio operatori e operatrici -
secondo il racconto della dottoressa - si arrangiavano con quel che
c'era: portavano i tappeti da casa! Solamente dopo qualche tempo
sarebbe stato possibile un investimento ulteriore: la dottoressa ha
raccontato che, accompagnata da altre operatrici, si sarebbe recata
di persona all'Ikea a fare una scorta di tappeti a basso prezzo, come
lei ha affermato. E stiamo parlando di un istituto - la Stella Maris
- che ogni anno riceve dalla Regione Toscana milioni di euro.
Un'ulteriore
questione riguarda il numero delle persone che avrebbero dovuto
utilizzare questo tappeto contenitivo formato Ikea. Nelle
testimonianze presentate al processo prima del 12 marzo alcuni
operatori e la stessa dottoressa Salvadori (direttrice
della Residenza Sanitaria per Disabili a Montalto dove sono avvenuti
i maltrattamenti)
avevano
parlato della necessità di cinque persone per poterlo utilizzare:
uno per arto più uno per la testa. E proprio questa disposizione
avrebbe molte volte impedito l'utilizzo del tappeto a causa della
carenza del personale. Il racconto della dottoressa Masoni continua,
invece, con altri particolari che descrivono una realtà (se
possibile) ancora peggiore, completando un quadro allucinante. La
dottoressa ha, infatti, sostenuto che in realtà un solo operatore
sarebbe bastato per l'utilizzo del tappeto, e proprio per facilitare
un intervento di questo tipo avevano pensato di aggiungere al tappeto
delle "maniglie", in modo da prendere come con una rete da
pesca la persona recalcitrante per procedere successivamente alla
procedura dell'arrotolamento. Dulcis in fundo: in mancanza del
personale previsto per svolgere la manovra di contenimento tramite
tappeto più volte gli addetti avrebbero impedito un possibile
"srotolamento" del malcapitato apponendo una sedia come
"fermo" sopra il tappeto arrotolato su cui poi, per
completare l'opera, si sarebbero posti a sedere. Cosa che è stata
raccontata da altri operatori nel corso del processo.
Dal nostro punto di vista,
tutto ciò è veramente troppo. Abbiamo ancora gli occhi offesi dalle
immagini scorse ormai due anni fa sullo schermo del tribunale, che
testimoniavano in maniera inconfutabile le - altroché presunte... -
percosse rivolte agli ospiti della struttura. Abbiamo sentito le
ingiurie - pesantissime - ripetute alle stesse persone solamente per
il gusto di schiacciare, sottomettere, annichilire le personalità.
Questo ulteriore retroscena ci
inorridisce e allo stesso tempo ci spinge a formulare alcune - dovute
– considerazioni.
L'uso dei tappeti contenitivi
pone a nostro avviso alcune problematiche su due ordini di
riflessione. Da una parte il piano giuridico-legale: come è
possibile che un crudele quanto rozzo marchingegno di questo tipo
possa essere considerato regolare? Non ci risulta che i tappeti siano
presidi sanitari accreditati al pari di altri, pur crudeli,
annichilenti e ugualmente inaccettabili strumenti di contenzione
usati in lungo e in largo nella quasi totalità delle strutture
psichiatriche di "accoglienza e cura", come ad esempio le
cinghie. E se anche in qualche modo fossero stati legittimati da
qualche protocollo interno, dubitiamo che si possano considerare
regolari e accreditati i tappeti portati da casa o comprati all'Ikea.
Sotto questo aspetto, giudice e/o avvocati di parte civile forse
dovrebbero approfondire la questione per rilevare eventuali ulteriori
profili di reato.
Ma quello che ci colpisce di
più, al di là delle parole accomodanti della dottoressa, è un
secondo aspetto della questione, le cui implicazioni vorremmo fossero
ben inquadrate.
Non si possono arrotolare
esseri umani in un tappeto. Le persone non si legano. Mai.
Non ci
sono ragioni che possano giustificare una violenza del genere: tanto
più in una istituzione di (presunta) eccellenza deputata
all'"accoglienza" e alla "cura"; tanto più verso
persone, ragazzi indifesi e bisognosi di altro che di trattamenti
disumani e degradanti. L'oltraggio ai corpi costretti da corde e
tappeti di contenzione, annichiliti dagli psicofarmaci, segregati e
deumanizzati in quelle strutture sanitarie che continuano a essere
istituzioni totali, costituiscono la «negazione agita» (per dirla
con le parole del professor Alfredo Verde, estensore della relazione
tecnica per la componente di parte civile del processo di Pisa) di
quanto asserito dalla stessa Carta dei servizi del presidio di
Montalto di Fauglia, dove si afferma che il modello adottato ≪mette
prima di tutto al centro il paziente come persona, nella sua
individualità, nei suoi bisogni relazionali e personali [...].
La
nostra filosofia di intervento è 'prenderci cura' oltre che curare
[...].
La
nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di
pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con
funzioni educative, che fungono da 'io' ausiliario o 'compagni
adulti' dei pazienti, che li supportano concretamente e
psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. [...] ogni
ragazzo [...] è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi,
aspirazioni, competenze≫.
La
presunta eccellenza della Stella Maris è un grande bluff. A Fauglia
non si mettevano in atto cure o trattamenti terapeutici ma violenze e
trattamenti degradanti e umilianti ai danni degli ospiti. Al di là
di procedure, protocolli e linee guida, che possono offrire un
imprimatur
giuridico
e professionale alla necessità, costi quel che costi, di ridurre
all'impotenza una persona, tutte le pratiche di contenzione, tra cui
anche
i
tappeti di contenzione rappresentano, oltre che una inaccettabile
violenza, uno dei tanti simboli del fallimento dell'utopia
psichiatrica.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
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Antipsichiatrico Antonin Artaud
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