A Pisa è nato il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud contro gli usi ed abusi della psichiatria.
Nessuno di noi è psichiatra, psicologo o uno "specialista " della mente ma siamo tutte persone
interessate a contrastare gli effetti nefasti che questa scienza del controllo produce sull'intero corpo sociale.
Ci sembra necessario mettere in discussione le pratiche di esclusione e segregazione indirizzate
a tutti quelli che non accettano il sistema di valori imposto dalla società.
E' arrivato il momento di rompere il silenzio che permette il brutale perpetuarsi di tutte le
pratiche psichiatriche e di smascherare l'interesse economico che si cela dietro
l'invenzione di nuove malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci.
Ci proponiamo di fornire:
- un aiuto legale
- informazione sui farmaci e sui loro effetti
collaterali
- denunciare le violenze e gli abusi della psichiatria

Chiunque è interessato può intervenire alle nostre assemblee che si svolgano
tutti i martedì alle 21:30 c/o lo Spazio Antagonista Newroz in via Garibaldi 72 a PISA
per info : antipsichiatriapisa@inventati.org
3357002669

attivo il nuovo sito del collettivo
www.artaudpisa.noblogs.org

giovedì 20 dicembre 2007

“Roba da psichiatri”

“Roba da psichiatri”

Con la pubblicazione di questo racconto il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud si pone come megafono della storia di una giovane donna che da un momento all'altro ha visto scatenare contro di sé una violenza inaudita da parte della psichiatria.
La ragazza è stata condotta in un reparto psichiatrico contro la sua volontà e contro quella dei suoi familiari, e sottoposta a un bombardamento farmacologico tale da farle rischiare la vita, che le ha provocato danni fisici irreversibili.
Abbiamo deciso di rendere pubblica questa vicenda con l'intento di mettere in luce i veri meccanismi con cui, in pratica, opera la psichiatria e nella speranza che sempre più persone trovino il coraggio di denunciare gli abusi subiti.


vai su questo link per leggere la storia completa
http://violetta.noblogs.org/post/2007/12/19/roba-da-psichiatri

mercoledì 12 dicembre 2007

Pillole di antipsichiatria

riflessioni su una storia vissuta



Ho vissuto un'esperienza di sofferenza interiore e di psichiatria e ne sono uscita.

Rivolgermi alla psichiatria è stato il mio più grande errore: sono stata danneggiata fisicamente e la mia vita è stata quasi rovinata e ora faccio parte di un collettivo antipsichiatrico per informare le persone su quello che realmente fa la psichiatria, affinché possano evitare di subire abusi come quello che ho subito io.
Io non posso dare una formula per stare bene ma posso raccontare la mia esperienza, come io ne sono uscita e le mie riflessioni. Non voglio neanche dire che quello che penso sia la verità, perché questo è appunto il mio pensiero personale.

In un momento di "depressione" mi sono rivolta ad uno psichiatra per risolvere le mie sofferenze, ma ogni farmaco che assumevo peggiorava la mia situazione. Quando assumevo Risperdal vedevo tutto nero, stavo malissimo interiormente, non riuscivo neanche più ad alzarmi dal letto, i miei sensi erano intorpiditi, piangevo continuamente. Inoltre mi sentivo anche male fisicamente e svenivo spesso. Ho conosciuto anche altre persone che mi hanno confermato di avere avuto gli stessi sintomi provocati dal Rispedal. Anche l'Anafranil non ha fatto altro che rendermi confusa.

A causa di queste "cure" ho anche sviluppato un disturbo fisico irreversibile.
Dalla psichiatria sono stata solo danneggiata. Stavo sempre peggio e dopo circa 1 anno di "cure" ero arrivata alla convinzione che oramai non sarei mai più stata bene, che la mia vita sarebbe stata per sempre una sofferenza continua. Ma non era così.
Innanzitutto le emozioni, i pensieri e i comportamenti non sono malattie e quindi non possono essere curate con i farmaci, che sono semplicemente sostanze psicoattive come le droghe e non possono fare altro se non sopprimere alcuni sintomi.

In psichiatria sintomi e comportamenti sono definiti malattie solo sulla base che questi non corrispondono a ciò che è socialmente accettato o comunque considerato nella media. I sintomi e i comportamenti, a prescindere dal fatto che siano considerati giusti o sbagliati, possono avere cause molto diverse fra loro. La psichiatria non ha nessuna prova del fatto che chi si comporta in modo diverso dagli altri presenti alterazioni del cervello.
La preoccupazione principale della psichiatria non è neanche alleviare i sintomi e le sofferenze, ma rendere le manifestazioni di queste sofferenze socialmente accettabili.

Spesso la situazione viene peggiorata dai farmaci perché sotto l'effetto di questi diminuisce la
capacità del soggetto di avere una visione chiara della realtà circostante e quindi anche la capacità di agire in maniera adeguata per risolvere i problemi che sono la causa reale della sofferenza interiore.
A causa di questo mi sono trovata completamente isolata e non volevo più uscire di casa. Sono cambiata in seguito all'assunzione di farmaci, ero come drogata, così la mia famiglia non mi comprendeva più, il mio compagno non mi comprendeva più. Ero totalmente sola perché nessuno mi poteva capire. Ero convinta che la mia vita fosse finita.

Mi sono ripresa solamente dopo che ho compreso affondo cosa è la psichiatria.
Allora ho scalato i farmaci, ma non perché ormai stavo bene: solo perché ho capito che continuando a prenderli sarei stata ancora peggio. Inoltre, se tanto dovevo continuare soffrire, questo potevo farlo benissimo senza farmaci. Era un illusione continuare a credere che gli psicofarmaci avrebbero alleviato le mie pene. Era un illusione anche pensare che uno psichiatra o uno psicologo potessero aiutarmi. Questa gente non può aiutare nessuno perché attraverso la diagnosi considerano i pensieri e comportamenti come frutto di processi patologici, non si preoccupano di conoscere la persona e di capirla, né di ascoltarla, perché la giudicano irrazionale. Come si fa ad aiutare una persona se ci si rifiuta di vederla com'è?

La diagnosi è un pregiudizio e dal quel momento ogni pensiero e ogni comportamento è considerato sintomo di malattia.

Poi, in fondo, ho anche capito che nessuno poteva aiutarmi perché nessuno poteva essere nella mia pelle, nessuno poteva sentire quello che io sentivo, conoscermi meglio di me stessa e comprendere dall'esterno le mie motivazioni reali. In fin dei conti l'essermi rivolta alla psichiatria era stata una rinuncia alla mia responsabilità sulla mia vita, mi aspettavo che fosse un altro, un "esperto" a risolvere la mia sofferenza, e questo in un certo senso mi sollevava dalla fatica e dalla responsabilità di essere io stessa in prima persona ad impegnarmi per migliorare la mia vita. Sono stata meglio solo quando ho ripreso in mano la mia vita, quando ho accettato il fatto che nessuno dall'esterno poteva aiutarmi.

Per uscire da questa situazione è stata importante anche l'accettazione della mia stessa sofferenza, la comprensione che questa non era una patologia, ma una normale reazione emotiva a certe circostanze.

Appena iniziato lo scalaggio ho cercato di cambiare il mio stile di vita. Non sono stata subito meglio, è stato un processo graduale: mi ci è voluto quasi un anno per uscire da quello stato di prostrazione. Questo è stato importante per venirne fuori: non fermarmi mai, lottare contro quella voglia di abbandonarmi, di isolarmi e di restare al letto. Cercare di stare in mezzo alla gente e ricominciare a d interessarsi alla vita. Riprendere tutti quegli interessi che avevo abbandonato. Interessi culturali, sportivi, ecc. L'ho fatto con immensa fatica, soffrendo.

Per mesi a causa dei farmaci arricciavo il naso in continuazione e nonostante questo andavo tra le persone, in associazioni culturali dove mi sforzavo di dialogare con gli altri, anche se non ne avevo voglia. Ero perfettamente consapevole che loro mi compativano a causa del mio volto, ma mi relazionavo con loro alla pari, considerandomi una persona in grado di dire la propria opinione come tutti gli altri. Non cercavo dagli altri comprensione, pietà, aiuto o amicizia. Mi ponevo completamente alla pari.

Così sono uscita dalla "depressione" e dall'isolamento.

Inoltre credo che sia stata molto importante l'attività fisica, che aiuta a liberarsi dalle tossine, ad alzare l'umore, a non restare continuamente concentrati e ripiegati sulla propria sofferenza. L'attività fisica aiuta a vivere nel presente ed a riprendere contatto col proprio corpo, mentre gli psicofarmaci in un certo senso separano dal corpo, rendono il soggetto anestetizzato e addormentato, i sensi ovattati.

Non c'è una soluzione standard che va bene per tutti, perché come i problemi sono personali e diversi per ognuno così le soluzioni. Per me stato lo yoga, ma per qualcun altro può essere qualunque altra cosa gli piaccia. Bisogna chiedersi che cosa ci piace, a partire dalle piccole cose fino a quelle più grandi. Io ero arrivata a stare così male che non me ne fregava niente neanche di scegliere che cosa preferivo mangiare. Questo è trascurare completamente se stessi, invece bisogna amare se stessi e prendersi cura della propria vita in prima persona, proprio come faremmo con il più caro dei nostri amici.

Io ne sono uscita così, da sola senza l'aiuto di nessuno, con uno sforzo immenso e continuo, ma non perché sono stata brava: ho solo cercato di non morire, di non "affogare", lottando in modo disperato.

Collettivo Antipsichiatrico "Antonin Artaud" Pisa - 2007 antipsichiatriapisa@inventati.org