A Pisa è nato il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud contro gli usi ed abusi della psichiatria.
Nessuno di noi è psichiatra, psicologo o uno "specialista " della mente ma siamo tutte persone
interessate a contrastare gli effetti nefasti che questa scienza del controllo produce sull'intero corpo sociale.
Ci sembra necessario mettere in discussione le pratiche di esclusione e segregazione indirizzate
a tutti quelli che non accettano il sistema di valori imposto dalla società.
E' arrivato il momento di rompere il silenzio che permette il brutale perpetuarsi di tutte le
pratiche psichiatriche e di smascherare l'interesse economico che si cela dietro
l'invenzione di nuove malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci.
Ci proponiamo di fornire:
- un aiuto legale
- informazione sui farmaci e sui loro effetti
collaterali
- denunciare le violenze e gli abusi della psichiatria

Chiunque è interessato può intervenire alle nostre assemblee che si svolgano
tutti i martedì alle 21:30 c/o lo Spazio Antagonista Newroz in via Garibaldi 72 a PISA
per info : antipsichiatriapisa@inventati.org
3357002669

attivo il nuovo sito del collettivo
www.artaudpisa.noblogs.org

domenica 26 dicembre 2021

SOLIDARIETA' CONCRETA PER GIOVANNA

 Tempo fa abbiamo espresso solidarietà e vicinanza a Giovanna, ferita da parte delle forze dell’ordine in Val di Susa. Giovanna era stata colpita in pieno volto da uno dei lacrimogeni, sparati dalla polizia ad altezza uomo nei confronti degli attivisti No Tav. Oggi pubblichiamo l'invito, che trovate sotto, a donare un contributo per sostenere le spese sanitarie che deve affrontare.

il Collettivo Antonin Artaud

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
artaudpisa.noblogs.org 335 7002669
via San Lorenzo 38 Pisa


Ciao,
Dopo l’intervento di aprile e la lunga ripresa che è seguita, Giova è tornata a lavoro e alle attività quotidiane e di lotta.
A ottobre c’è stato il secondo intervento e a novembre un terzo.

Il morale è alto ma la sanità non smette di farci arrabbiare, noi come tante altre persone che vi si rivolgono. Disorganizzazione, sfruttamento selvaggio di chi ci lavora, assenza di tutele per chi ha bisogno di cure, costi esorbitanti perché il SSN non garantisce l’accesso gratuito a tutte le cure.

In seguito all’ultimo intervento è necessaria una riabilitazione della mandibola e dei supporti specifici per la cura, nonché visite e accertamenti oculistici.
Le spese sono altissime, si parla di diverse migliaia di euro. Senza queste cure le operazioni fatte rischiano di non essere utili.

Abbiamo quindi deciso di scrivervi e raccogliere l’invito, che in tant* ci avete fatto, di contribuire alle spese che affrontiamo. Per ora abbiamo deciso di inviare questo messaggio a compagn, *amic* e organizzazioni del nostro territorio in modo da sostenere le spese più imminenti.

Per far ciò abbiamo aperto un conto apposito di cui vi diamo gli estremi per il bonifico.

Vi ringraziamo anticipatamente per lo sforzo e il sostegno,
Un grande abbraccio
Compagne e compagni di Pisa

Iban: IT38K3608105138254838454853
Giovanna Saraceno

venerdì 24 dicembre 2021

INTERVISTA al Collettivo ANTONIN ARTAUD

 Pubblichiamo l'intervista che ci hanno fatto le persone che gestiscono Cirkoloco . Questo è un progetto che nasce a Firenze nel 2016. All’interno dello spazio dell’Exfila si trova il Cirkoloco, bar sociale che pone particolare attenzione nei confronti di persone con vissuti legati alla salute mentale. Il bar infatti è gestito da personale che ha affrontato, o tutt’ora affronta, disagi psichici e tanti volontari dell’Associazione Bottega del Tempo. L'intervista è uscita sul giornale "L'Eco Loca".

http://www.cirkoloco.it/

Intervista al collettivo Antonin Artaud

Abbiamo incontrato al Cirkoloco alcuni membri del collettivo antipsichiatrico di Pisa "Antonin Artaud". Eravamo curiosi di conoscere le loro idee ed iniziative perché dell'antipsichiatria se ne parla poco, e forse anche a sproposito. Loro sono stati molto disponibili e l'incontro è stato interessante e proficuo. Abbiamo iniziato presentando al collettivo la nostra associazione.

Il nostro consigliere Alessandro ha posto le prime domande: "Cos'è l'Antipsichiatria? Cosa contesta alla psichiatria tradizionale? Che cosa propone in alternativa?".

Ha risposto Alberto:

"Ci chiamiamo collettivo antipsichiatrico perché riteniamo la psichiatria una disciplina medica particolarmente perniciosa e mortificante. È l'unica disciplina medica che obbliga alla cura, in tutte le altre si può scegliere il tipo di cura o non farla. Questo fa sì che gli abusi siano dietro l'angolo. Se andiamo a vedere la storia c'è da mettersi le mani sui capelli e questa situazione non sta cambiando. Il connubio fra aziende farmaceutiche e il controllo sociale tramite la psichiatria causano l'isolamento e la discriminazione di molte persone.

Noi cerchiamo di dare aiuto a chi subisce abusi. Diamo appoggio a chi cerca di uscire dalla psichiatria, diffondiamo una cultura diversa perché della psichiatria si può fare a meno. Non è una questione biologica come vogliono farci credere. Il disagio esiste, anzi è sempre più diffuso. Nessuno psichiatra può esibire un esame, come ad esempio una radiografia, per dimostrare una diagnosi. C'è stato un periodo in cui venivano fatti cadere i muri dei manicomi, ma ormai il manicomio si è diffuso e lo vediamo proprio nel nostro operato. Abbiamo un telefono di ascolto ed anche uno sportello. L'ascolto delle persone, senza pregiudizio, aiuta già tantissimo chi è vittima dello stigma psichiatrico. Stigma che nel contesto attuale con la pandemia rischia di ingrandirsi e rafforzarsi, infatti aver vissuto un periodo senza contatti sociali dovuto alla paura del contagio, lo stress da confinamento e la crisi economica, che sta colpendo ampi strati sociali, ha causato un incremento dei disagi psichici. La difficoltà maggiore è tirare fuori le persone dall'obbligo della cura perché spesso dopo un TSO non ti lasciano in pace. Chi finisce nella rete non riesce più ad uscirne. Noi cerchiamo dei mezzi legali per aiutarle, se è la loro volontà. Non siamo contro gli psicofarmaci a prescindere, siamo per la libertà di scelta delle sostanze da assumere. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Per un periodo ha collaborato con noi una psichiatra che oltre all’ascolto dava importanza all’alimentazione per aiutare le persone in difficoltà. Sono fondamentali anche le relazioni sociali. I farmaci possono aiutare in alcuni momenti, non lo neghiamo, ma a lungo andare ci sono effetti collaterali irreversibili. Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico pesante va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva, fino ad arrivare a possibili casi di suicidio.

La malattia mentale non è il diabete. La maggior parte di queste malattie nascono da conflitti, soprattutto familiari. La famiglia crea un ambiente ristretto dove spesso avvengono conflitti che hanno queste conseguenze. Ci siamo a volte chiesti se diventare associazione, ma noi siamo per deistituzionalizzare la psichiatria. A volte per liberare chi si trova sotto le pressioni e gli obblighi esercitati dagli psichiatri del CIM (Centri Igiene Mentale) l’unico modo è quello di cercare medici psichiatri che utilizzano altri approcci terapeutici non coercitivi disposti a prendere in carico la persona. Uno concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

Quindi secondo voi non esiste una psichiatria sana?"

"Esistono psichiatri, magari che sbagliano, ma che sono comunque in buona fede. A volte operano per il bene delle persone, perché hanno una visione più sociale però la psichiatria come istituzione è al servizio del potere. Ancora oggi l'impostazione è questa, sia per come viene insegnata nelle scuole, sia per come viene messa in pratica. Fanno ancora gli elettroshock, legano ancora ai letti." A questo punto ci regalano un libro scritto da loro, basato sulle esperienze di alcune persone che hanno ricevuto l'elettroshock. Daniele, un altro membro del collettivo, ci dice che il metodo attuale non è molto diverso dal 1938, nel senso che adesso viene fatta l'anestesia, ma la corrente passa lo stesso attraverso il corpo, con tutte le sue conseguenze. In Toscana, Marche e Piemonte si è tentato di limitare questo trattamento, ma la risposta è stata che per l'articolo 32 della Costituzione è vietato impedirlo.

Non viene generalmente usato nemmeno il consenso informato. Lo scopo dell'elettroshock è causare un attacco epilettico, per far stare meglio i pazienti. C'era anche la logica di far perdere la memoria, sempre con l'idea di migliorare le condizioni dei pazienti.

Giulia, altra consigliera della nostra associazione, prende la parola:

"Alla conferenza nazionale sulla Salute Mentale, dove sono intervenuti una trentina di psichiatri, sembrava di sentire voi. In molti hanno criticato il modello attuale di psichiatria, la responsabile del CSM di Tor Bella Monaca ha detto che qui il problema è la miseria. Che molte persone hanno chiesto l'invalidità perché è l'unico modo per campare. Gli abusi, il modello dell'ambulatorio, il ricovero, il TSO... però se ci fosse un modo alternativo? Se anche chi ci lavora è contrario ad andare avanti così, c'è un modo di aiutare diverso?"

Daniele risponde: "Chi decide se io sto male? Un conto è se lo dico io, e decido insieme a chi mi aiuta come stare meglio. Un conto è se qualcuno decide per me quando sto male e come devo fare, senza interpellarmi."

Alberto conclude: "Se si potesse dire no alla cura, non ci sarebbe più un collettivo antipsichiatrico. Basterebbe questo."

domenica 19 dicembre 2021

Il PROSSIMO SPORTELLO D'ASCOLTO CI SARA' MARTEDI' 28 DICEMBRE

 

Vi informiamo che lo SPORTELLO D’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO previsto per martedì 21 dicembre non sarà effettuato. Lo SPORTELLO si terrà regolarmente martedì 28 dicembre allo stesso orario , dalle ore 15:30 alle 18:30 presso la nostra sede in via San Lorenzo 38 a Pisa.


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

giovedì 9 dicembre 2021

ANCORA UN MORTO PER CONTENZIONE MECCANICA

 Condividiamo e diffondiamo il volantino scritto dal collettivo antipsichiatrico SenzaNumero riguardo la morte per contenzione meccanica di Abdel Latif avvenuta nel reparto psichiatrico dell'Ospedale San Camillo di Roma.

BASTA MORTE NEI REPARTI PSICHIATRICI!!

ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Abdel Latif, ragazzo tunisino di 26 anni. Era arrivato in Italia tramite una delle tante navi che cercano di approdare, fortunate per non essere state respinte. L’ “accoglienza” che gli è stata riservata, a lui come a tanti/e altre, è stata quella di essere rinchiuso in un CPR, un centro di detenzione per migranti nel quale vieni portato per un reato terribile: non avere il documento “giusto”.

Abdel rimane nel CPR svariati giorni; a un certo punto, da quanto appreso dai giornali, gli viene diagnosticato un disturbo psichiatrico (di cui non aveva mai avuto segni in Tunisia) e gli vengono dati dei farmaci. Dopo pochi giorni la “cura” pare vada rafforzata e Abdel viene trasferito al reparto di psichiatria prima del Grassi di Ostia, poi al San Camillo.

Qui viene tenuto legato al letto per 3 giorni, dal 26 al 28 novembre giorno in cui muore.

Le autorità mediche parlano di arresto cardiaco, non facendo alcun riferimento né ai farmaci somministrati né al fatto che fosse stato contenuto per almeno 72 ore.

Questa storia ci riporta a due verità purtroppo già note: nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. IL CPR è un luogo di detenzione e come tale si fonda sulla violenza e sulla sopraffazione.
La morte di Abdel non è una storia isolata, molti/e hanno subito la sua stessa sorte. Citiamo solo gli ultimi di cui siamo a conoscenza: Guglielmo Antonio Grassi morto nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Livorno; Elena Casetto, arsa viva perché legata... sempre in un reparto psichiatrico.

Ma la l’elenco sarebbe lungo nonostante di molte persone non si conoscano neanche i nomi.

Contenzione meccanica e farmacologica sono pratiche diffuse anche nei CPR, nelle carceri, nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti, negli ospedali. In nessun caso la carenza di personale può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. La logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive”, a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse (!), rimuovendo dal loro orizzonte il valore imprescindibile della libertà della persona. Tanto più rilevante quanto più attinente alle libertà minime, elementari e naturali, come quella di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini. Lo stato di pandemia ha inoltre rafforzato l’isolamento e la distanza tra chi è tenuto rinchiuso/a e chi non lo è, accrescendo le violenze perpetrate all’interno di quelle mura (siano esse del carcere, del CPR, dei reparti di psichiatria).

Ribadiamo la necessità di eliminare, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.

Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc.) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

Continueremo a lottare contro i respingimenti, i rimpatri, le espulsioni, le frontiere, per la libera circolazione di tutte le persone.

PER UN MONDO SENZA FRONTIERE, SENZA PSICHIATRIA, SENZA COERCIZIONI

senzanumero.noblogs.org/

hurriya.noblogs.org/

Contenzioni ed espulsioni: ingranaggi nella società dell’esclusione

 

pubblichiamo questo articolo da Hurriya:

https://hurriya.noblogs.org/post/2021/12/06/contenzioni-ed-espulsioni-ingranaggi-nella-societa-dellesclusione/

Contenzioni ed espulsioni: ingranaggi nella società dell’esclusione

Il razzismo di stato è tentacolare e Abdel Latif dell’Italia ha visto la segregazione in un hotspot a Lampedusa, la prigionia su una nave quarantena, la reclusione nel Centro di espulsione di Ponte Galeria a Roma, la contenzione nel reparto psichiatrico del San Camillo.

Due delle prigionie che hanno portato alla morte di Abdel Latif hanno come sfondo il sistema sanitario italiano, per il resto come garanzia ci sono gli attori dell’accoglienza umanitaria.

Le recenti mobilitazioni contro la contenzione psichiatrica ci hanno suggerito alcune riflessioni e abbiamo cercato informazioni riguardo il dibattito sulla contenzione meccanica, pratica che lo Stato dichiara di voler abolire con un percorso triennale che dovrebbe terminare nel 2023.
È da notare come negli stessi carteggi istituzionali le valutazioni partano da dati e note risalenti al 2001 e come dalle stesse analisi si arrivi a “raccomandazioni” e “suggerimenti” che, da allora e dopo 20 anni, non hanno avuto alcun riscontro pratico: si continua a morire nella violenza.

Ogni documento istituzionale è costretto a prendere in considerazione la lesione delle libertà individuali, la tortura, l’inefficacia in termini di miglioramento delle condizioni di salute e il peggioramento della persona sottoposta a contenzione meccanica fino a determinarne la morte. Protocolli che partono dall’assunto che “non è un atto sanitario, né un atto medico, non avendo nessuna finalità terapeutica, diagnostica o lenitiva del dolore”, confermano “la natura violenta della cura psichiatrica” e l’aumento dello stigma sociale per chi ha delle difficoltà ma al giorno d’oggi non esiste alcun monitoraggio di queste pratiche di tortura nelle strutture psichiatriche (figuriamoci nelle carceri, nelle RSA o nei CPR).
Già in passato veniva suggerito, non imposto, un registro per tenere nota delle ragioni, delle modalità e delle tempistiche dietro ogni contenzione.
Non serve grande immaginazione per credere che il tutto avvenga con la violenza fisica, la sedazione e l’abbandono perché i sostenitori della contenzione meccanica ritengono che il pericolo per l’incolumità degli operatori sanitari e la mancanza di personale siano delle buone ragioni per torturare e ammazzare le persone.
Convinzioni che le istituzioni non hanno neanche modo di paragonare ad altre strutture sanitarie che non utilizzano la contenzione meccanica perché la discrezionalità è immensa e senza controllo.

Nelle linee guida che lo Stato dichiara di voler adottare per superare la contenzione meccanica, oltre alla formazione del personale, c’è la trasparenza e l’accessibilità agli affetti e ai famigliari delle persone trattenute nelle strutture psichiatriche poiché, parte della contenzione, consiste nella reclusione.
Ora, guardando all’ultima persona uccisa dalla contenzione, probabilmente questa vicinanza affettiva sarebbe stata comunque impossibile data la blindatura delle frontiere.
Che il controllo psichiatrico – attraverso la somministrazione coatta, volontaria e involontaria di psicofarmaci – riguardi la vita delle persone detenute nei Centri di espulsione non siamo di certo i primi a saperlo. [Vedi anche 1 oppure 2]

Le persone recluse hanno sempre denunciato la presenza di psicofarmaci nel cibo e gli stessi farmaci come unica “cura” proposta oltre la tachipirina: un opuscolo recentemente pubblicato da nocprtorino.noblogs.org ricapitola la gestione sanitaria attuale nei CPR e fa un chiaro riferimento al controllo psichiatrico.
In passato abbiamo anche raccontato di iniezioni forzate di psicofarmaci nel CPR di Ponte Galeria e una querela da parte della cooperativa Auxilium ha comportato il sequestro preventivo della pagina che riportava l’articolo: ma quali altri aspetti del controllo psichiatrico riguardano le violenze a cui vengono sottoposte le persone immigrate?

Oltre ai sedativi, la contenzione meccanica è utilizzata nelle procedure di espulsione in molti paesi europei e non.
Fascette di plastica, scotch per legare mani, piedi e chiudere la bocca, caschi, cinghie, sedie con legacci… un inventario agghiacciante che ha portato alla morte di diverse persone, alcune conosciute per le proteste avvenute in seguito come Semira Adamu – ammazzata con un cuscino in faccia su un volo AirFrance mentre veniva deportata dal Belgio in Nigeria – e Jimmy Mubenga – soffocato su un volo di espulsione UK diretto in Angola.

Conclusioni

Le mobilitazioni contro la contenzione meccanica descrivono chiaramente la tendenza riformatrice a nascondere la violenza psichiatrica e il pericolo della sostituzione con una maggiore contenzione farmacologica in un paese convinto che l’elettroshock e i manicomi appartengano al passato.

Mentre la delegazione del Garante entrata a Ponte Galeria si dice intenzionata a fare chiarezza sulle cause di morte di Abdel Latif e si domanda se la contenzione porti alla morte, noi crediamo che la chiarezza ci sia già.
Tutti muoiono per “arresto cardiaco” ma lo stigma e la criminalizzazione spingono all’isolamento e nell’assenza di relazioni si è sottoposti a qualsiasi trattamento.

Sappiamo, dalle voci e dai racconti delle persone coinvolte, che sono gli stessi meccanismi di controllo delle frontiere e poi gli stessi luoghi istituzionali di segregazione e isolamento (navi, hotspot, centri di accoglienza, Cpr, reparti psichiatrici) che creano le condizioni di una forte sofferenza psichica. Creano una immane sofferenza lo stress di non riuscire a partire per migliorare la propria vita, il dover reperire migliaia di euro per pagarsi un viaggio, con la responsabilità di non deludere familiari e amici e la speranza di inviare presto soldi a casa, la paura durante una traversata dove si rischia la vita e si vedono morire compagnx, le torture subite nei lager, e all’arrivo in Italia, quando si pensava di avercela fatta, altre procedure rese ancora più incomprensibili perché in una lingua diversa, altre galere e violenze, nell’isolamento più assoluto, come nei CPR dove non è possibile nemmeno sentire telefonicamente la voce dei propri cari.

I tentativi di protesta contro questo sistema disumano spesso sono repressi ricorrendo appunto a motivazioni sanitarie, etichettando chi reclama libertà come un folle da sottoporre a trattamento sanitario obbligatorio e contenzione.

Davanti all’ennesima uccisione non deve cadere il silenzio.

mercoledì 24 novembre 2021

LINK INTERVISTA a RADIO BLACKOUT: "IL SESTANTE; CARCERE E MANICOMIO"

Sotto il link per ascoltare l' intervista, che abbiamo fatto come collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud a radio BlackOut sulla situazione del reparto psichiatrico Sestante nel carcere di Torino. 

https://radioblackout.org/2021/11/il-sestante-carcere-e-manicomio/

La recente denuncia dell’associazione Antigone sulle condizioni inumane di detenzione al Sestante, il repartino psichiatrico del carcere delle Vallette, ha riaperto la questione dei manicomi criminali, poi ospedali psichiatrici giudiziari, chiusi per far posto alle REMS – residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Formalmente, pur essendo strutture chiuse, le REMS non sono più carceri, perché la competenza è passata dal ministero di giustizia a quello della sanità.
La chiusura degli OPG e la nascita delle REMS non ha tuttavia reciso il legame tra psichiatria e reclusione. Anzi.
I prigionieri delle REMS sono sedati chimicamente, non possono uscire, spesso sono legati ai letti.
In carcere, già prima della nascita delle REMS, sono stati aperti repartini dedicati alle persone psichiatrizzate. Veri e propri manicomi all’interno delle carceri. Come i vecchi manicomi criminali sono luoghi dove, ancor più che nei reparti “normali”, vige l’arbitrio e la violenza delle guardie. Celle buie, materassi marci, gabinetti intasati, persone incapaci di muoversi e parlare perché sedate con dosi massicce di psicofarmaci. La gabbia chimica e quella di mattoni si uniscono in questi nuovi manicomi. Il manicomio si è polverizzato in tante e diverse strutture più piccole, ma la reclusione psichiatrica resta l’orizzonte concreto per moltissime persone.
Oggi un detenuto su quattro è in terapia psichiatrica, nel 2020 c’erano 174 persone rinchiuse in carcere in attesa di venire imprigionate in una REMS.
La contenzione fisica, dentro e fuori dal carcere è aumentata, mentre si allunga l’elenco delle persone morte, dopo essere rimaste legate mani, piedi e spalle al letto. L’ultimo morto di cui si ha notizia è rimasto per quasi tre settimane crocefisso alla sua branda nel repartino dell’ospedale di Livorno. Due anni fa Elena Casetto, inchiodata da legacci al suo letto, morì atrocemente, bruciata viva, prima che qualcuno intervenisse. Per questa vicenda atroce sono indagati i vigili del fuoco: gli psichiatri non sono mai entrati nell’inchiesta.
La contenzione fisica, che, assieme alla gabbia chimica, è una vera forma di tortura, è stata abolita in numerosi paesi europei. In Italia solo 17 ospedali su 320 hanno deciso di buttare legacci e corde. Ne abbiamo parlato con Alberto del Collettivo antipsichiatrico “Antonin Artaud” di Pisa.

 

PROSSIMA ASSEMBLEA SPOSTATA A MERCOLEDì 1 DICEMBRE

La prossima assemblea del Collettivo Antipsichiatrico Antonino Artaud prevista per martedì prossimo è spostata a MERCOLEDI' 1 DICEMBRE. Si svolgerà come sempre presso lo Spazio Antagonista Newroz in via Garibaldi 72 a Pisa alle ore 21:30

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669

lunedì 15 novembre 2021

alla TRASMISSIONE RADIO “MEZZ’ORA D’ARIA” PUNTATA SULLA CONTENZIONE

 

alla TRASMISSIONE RADIO “MEZZ’ORA D’ARIA” PUNTATA SULLA CONTENZIONE

Sulla contenzione meccanica in psichiatria. Pratica di tortura nel servizio sanitario.

A Mezz'ora d'aria, trasmissione radio anticarceraria bolognese su Radio Città Fujiko, a ridosso del presidio contro la contenzione a Livorno, una puntata dedicata alla contenzione fisica nei reparti psichiatrici e una testimonianza sulla contenzione ospedaliera. Sotto il link per ascoltare la trasmissione.

https://www.autistici.org/mezzoradaria/puntata-del-13-novembre-2021/

SU RADIO ONDAROSSA INTERVISTA al Collettivo SENZANUMERO

 

SU RADIO ONDAROSSA INTERVISTA al Collettivo SENZANUMERO

Dalle giornate di lotta contro la contenzione psichiatrica

Con una compagna del Collettivo SenzaNumero raccontiamo la due giorni avvenuta a Livorno contro la contenzione, partendo dalla situazione nei reparti ospedalieri e passando in rassegna le vecchie riforme in campo psichiatrico alla luce delle dichiarazioni del Ministro Speranza sulla fine della contenzione meccanica nel 2023. Sotto il link per ascoltare la trasmissione.

http://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/silenzio-assordante/2021/11/dalle-giornate-lotta-contro

giovedì 4 novembre 2021

LINK INTERVISTA a Radio OndaRossa: Livorno, 6 e 7 Novembre: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !

 a questo link trovate il podcast della chiacchierata con radio OndaRossa che abbiamo fatto come collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

https://www.ondarossa.info/redazionali/2021/11/livorno-6-e-7-novembre-basta-morire

Livorno, 6 e 7 Novembre: basta morire di contenzione!

Nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO. Contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento. Sabato 6 novembre si terrà un presidio a Livorno contro la contenzione e domenica sempre a Livorno un'assemblea antipsichiatrica. Di seguito il programma dettagliato della due giorni.

Qui tutte le info: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2021/10/30/livorno-sab-6-e-dom-7-no…

A LIVORNO:

Sabato 6 Novembre:

– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16

Domenica 7 novembre:

– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica

– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi

nel pom proseguimento assemblea

domenica 31 ottobre 2021

RECENSIONE del Libro “IL POTERE DELLA PAROLA” uscita su Umanità Nova

 È uscita su Umanità Nova la recensione, che abbiamo scritto come collettivo Artaud, del libro "il potere della parola" di Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie. Sotto trovate il link.

https://umanitanova.org/il-potere-della-parola-recensione/

IL POTERE DELLA PAROLA. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell'istituzione psichiatricadi Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie, 2021.

Questo libro è frutto di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto dall’autrice Sara Manzoli con persone che sono seguite dai servizi psichiatrici di Modena e provincia.

Nella socioanalisi la narrazione dell’esperienza su cui si vuole portare l’attenzione diventa un dispositivo di ricerca che consente, attraverso il lavoro di gruppo, di fare emergere i molti non detti, ovvero quei dispositivi occulti e totalizzanti che, per le persone implicate, risultano alienanti, mortificanti e fonte di malessere. Attraverso le narrazioni d’esperienza, con l’intervento socioanalitico, si cerca di mettere a fuoco le varie modalità attraverso cui le persone si adattano o resistono in modo creativo all’azione dei dispositivi di potere. La narrazione e il racconto sono potenti strumenti di elaborazione del proprio vissuto, servono per crescere, per migliorarsi, per mettersi in discussione e per andare avanti nel viaggio della vita; questa è l’ottica con cui le persone che hanno partecipato al cantiere si sono approcciate a questa esperienza collettiva.

Gli ambiti emersi dai racconti e presi in considerazione in questo lavoro sono la mancanza di dialogo fra paziente e psichiatra, i ricoveri psichiatrici, i Trattamenti Sanitari Obbligatori (TSO), i dispositivi di controllo che vengono applicati nei reparti ospedalieri e nei contesti residenziali, la terapia psicofarmacologica, lo stigma.

In questo testo abbiamo trovato spunti di riflessione e meccanismi della psichiatria che da anni denunciamo come collettivo antipsichiatrico. I colloqui troppo brevi dove ti tengono giusto il tempo per darti la terapia e non c’è la possibilità di essere ascoltati o di esprimere i dubbi e le difficoltà. La parola della persona diagnosticata (marchiata) malata di mente non viene presa in considerazione, anzi spesso, considerata sintomo della malattia. Le persone protagoniste del cantiere raccontano che sono obbligate a frequentare i servizi psichiatrici e costrette ad assumere psicofarmaci e che devono continuare a prenderli per il resto della vita, proprio come un “diabetico prende l’insulina”. L'unico interesse della psichiatria non sembra essere quello dichiarato della "cura", ma la progressiva cronicizzazione del malessere: tutte le altre discipline mediche hanno come obiettivo la dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti prende in carico a vita.

L’inganno maggiore di questo sistema sta nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO) duri in fondo solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore; e nel pensare che, sì, in effetti è un sequestro di persona legalizzato. La verità è che il Trattamento Sanitario Obbligatorio implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi di salute mentale del territorio che può durare per decenni, proprio come è successo a vari partecipanti al cantiere. Una volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero. Per i pazienti ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora al''isolamento e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona, a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico a cui si è sottoposti. Ecco come l'obbligo di cura oggi non significhi più necessariamente la reclusione in una struttura, ma si trasformi nell'impossibilità di modificare o sospendere il trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.

Un altro capitolo del libro è dedicato all’obbligo di cura e di assunzione di psicofarmaci. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva. Quello che finora ci ha proposto la psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del cervello, ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente e messo in discussione il concetto di libero arbitrio. Come collettivo, non condanniamo a priori l'utilizzo di psicofarmaci ma pensiamo che spetti all'individuo deciderne in libertà e consapevolezza l'assunzione.

Poiché la risposta psichiatrica è sempre la stessa per tutte le situazioni: diagnosi, etichetta e cura farmacologica crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e all'autodeterminazione in ambito psichiatrico significhi riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, delle sofferenze e della molteplicità di maniere per affrontarle. La logica psichiatrica sminuisce le sofferenze delle persone, riducendo le reazioni dell’individuo al carico di stress cui si trova sottoposto a sintomi di malattia e medicalizzando gli eventi naturali della vita.

È necessario operare contro l’invalidante stigma psichiatrico affinché l’Istituzione psichiatrica dia ascolto e credito alle parole delle persone. La restituzione sociale del cantiere proposta nel libro si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Dalle narrazioni emerge una precisa richiesta di un maggior dialogo tra utenti e operatori, di sviluppare pratiche alternative alla cura farmacologica, nella prospettiva di elaborare un metodo che modifichi radicalmente, sovvertendole, le Istituzioni psichiatriche nel loro complesso.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud

antipsichiatriapisa@inventati.org

www.artaudpisa.noblogs.org

355 7002669

sabato 30 ottobre 2021

LIVORNO. sab 6 e dom 7 Novembre: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!


 BASTA MORIRE DI CONTENZIONE!!

ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.

Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.

Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.

Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l'incendio che l'aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.

Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.

Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.

Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.

Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.

Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!

a LIVORNO:

Sabato 6 Novembre:

- PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16

- alle ore 20 PANINI VEGAN + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16


Domenica 7 novembre:

- ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica

- ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi

nel pom proseguimento assemblea

mercoledì 27 ottobre 2021

Il PROSSIMO SPORTELLO D'ASCOLTO SI TERRA' MARTEDì 9 NOVEMBRE

Vi informiamo che lo SPORTELLO D’ASCOLTO ANTIPSICHIATRICO previsto per martedì 2 novembre non sarà effettuato. Lo SPORTELLO si terrà regolarmente martedì 9 novembre allo stesso orario , dalle ore 15:30 alle 18:30 presso la nostra sede in via San Lorenzo 38 a Pisa.


Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
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lunedì 25 ottobre 2021

Firenze: giovedì 4/10 presentazione del libro "CONVERSAZIONI CON UN RIVOLUZIONARIO" c/o Associazione Mariano Ferreyra

FIRENZE GIOVEDì 4 NOVEMBRE 2021 alle ore 19 in via degli Alfani 13 Rosso

l’ Associazione Mariano Ferreyra Collettivo Politico 13 Rosso e il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud presentano il libro:

CONVERSAZIONI CON UN RIVOLUZIONARIO

di Mauro Damiani e Giulia Spalla

Edizioni Sensibili Alle Foglie

ne parliamo con l’autore Mauro Damiani, Sandro Targetti, il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud e la psicologa Giulia Spalla

Ore 21 Cena a Buffet di Finanziamento


lunedì 18 ottobre 2021

sab 6 e dom 7 Novembre a Livorno: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!

BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!

a LIVORNO: Sabato 6 Novembre:

- PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16

- alle ore 20 PIZZATA + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16


Domenica 7 novembre: - ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica

- ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi nel pom proseguimento assemblea

sabato 16 ottobre 2021

LIVORNO sab 6 e dom 7 Novembre: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !!

 Programma e Appello 2 gg CONTRO LA CONTENZIONE A LIVORNO!

BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!

a LIVORNO:

Sabato 6 Novembre:

- PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16

- alle ore 20 PIZZATA + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16

Domenica 7 novembre:

- ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica

- ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi nel pom proseguimento assemblea

BASTA MORIRE DI CONTENZIONE!! ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!

Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.

Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.

Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.

Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l'incendio che l'aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.

Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.

Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.

Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.

Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.

Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

mercoledì 15 settembre 2021

PISA Ven 1/10 presentazione di "IL POTERE DELLA PAROLA" di Sara Manzoli c/o S.A. Newroz


PISA VENERDI’ 1 OTTOBRE c/ lo Spazio Antagonista NEWROZ in via Garibaldi 72 alle ore 18 il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud presenta:

Il libro “IL POTERE DELLA PAROLA. La carenza dialogica nelle relazioni tra utenti e operatori nell'istituzione psichiatricadi Sara Manzoli edizioni Sensibili Alle Foglie

Questo libro nasce dall’esperienza di un cantiere di socioanalisi narrativa svolto con persone che fanno riferimento al servizio di salute mentale di Modena e provincia; un territorio che viene portato come esempio positivo a livello nazionale rispetto al proprio approccio alla cura del disagio psichico. Dalle narrazioni raccolte appare però evidente che non tutto scorra liscio come lo si racconta. La restituzione sociale del cantiere qui proposta si pone come obiettivo il mettere in luce quanto a livello di ascolto e scambio dialogico sia ancora necessario fare per poter arrivare a un reale processo di condivisione del percorso terapeutico. Spostarsi dalla centralità del farmaco alla centralità della parola sembra un passaggio imprescindibile da qualsiasi altra pratica proposta. Gli ambiti presi in considerazione sono i ricoveri psichiatrici, i dispositivi di controllo che vengono applicati nei contesti residenziali, la terapia farmacologica, lo stigma.


sarà presente l’autrice

a seguire APERICENA

l’evento si svolgerà seguendo le misure di prevenzione anti Covid

per info:

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org 3357002669


domenica 29 agosto 2021

ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA

 Pubblichiamo uno scritto sull’attualità e la pandemia di alcune/i compagne/i di Bologna

ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA
Questo scritto prova a raccogliere alcune riflessioni emerse nel contesto pandemico attuale. Non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di tracciare qualche
considerazione che tenga conto di alcune complessità.

UNA PREMESSA NECESSARIA
Il consumo di immagini, emozioni forzate, informazioni e disinformazioni alimentato dai
media mainstream è ormai talmente accelerato, quasi parossistico, che ogni notizia che
può fare scalpore diventa pervasiva, spingendo la gente a prendere partito (quale che
sia), ad esprimere opinioni (quali che siano), consensi, applausi o dissensi ed
indignazioni. In un brevissimo lasso di tempo la “notizia” scivola via, slegata dalla vita
reale, facendosi sfondo, rappresentazione, teatro a cui si può assistere, vetrina per l’ego
atomizzato di ognunx, aliena ad elaborazioni complesse, come da social network.
E’ stato relativamente difficile non rincorrere l’instant-book del momento, ma non
abbiamo mai smesso di dire in modo fermo e determinato quanto l’attualità sia solo
quella dei soggetti e non quella del tempo preconfezionato, cello-phanato e distribuito
dallo Stato. Per questo abbiamo rifuggito dal farci anche noi attrici e attorx di un triste
teatrino sulla pelle deglx ultimx, che è la nostra, e piuttosto che alimentare un dibattito
infruttoso, ci siamo preoccupate di non abbandonare le strade e di lottare accanto a chi
scelta e voce non è ha, contro chi sfrutta e opprime, come abbiamo sempre fatto.
Come prima cosa ci siamo postx delle domande su come autogestirci e autotutelarci
dal virus oltre la burocrazia statale, da un punto di vista pratico e antiautoritario,
individuando aspetti da considerare e alcunx possibili criteri basati sul consenso.
Dall’inizio della pandemia in troppx hanno rinunciato ad una riflessione critica che
tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a
creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi,
spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no
vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei
padroni.
Se da una parte è emersa una tendenza diffusa ad esasperare gli aspetti allarmisitico distopici legati alla pandemia senza il minimo discernimento, dall’altra si è evidenziata
invece una generalizzata minimizzazione degli effetti drammatici dei cambiamenti che
stiamo vivendo che riflette un attendismo che non rassicura.
Questo processo di polarizzazione è legato a doppio filo con la pervasività di una
comunicazione interpersonale sempre più tecnologicamente mediata: le relazioni faccia
a faccia diminuiscono sempre più, la conoscenza e le relazioni diventano sempre più
filtrate da piattaforme digitali commerciali che influenzano la percezione delle
informazioni e dei messaggi, ostacolando rielaborazioni critiche.
In molti contesti ‘compagni’ la componente dei vissuti, delle esperienze, la componente
affettiva ed emotiva della vita e delle relazioni che ci animano è stata trascurata
generando conflitto e ulteriore sofferenza, facendo sentire le persone ancora più isolate.
E’ emersa una certa indifferenza diffusa per quanto riguarda il prendersi cura di sè e
dell’altrx anche nei contesti antiautoritari e di lotta, colonizzati ancora da dinamiche di
esclusione, produttività o consumo, e sono sempre meno gli spazi in cui ricercare
reciproca soggettivazione nella ricerca comune di liberazioni che siano anche ‘pratiche’.

È UNA GUERRA TRA POVERX QUELLA CHE CI ASPETTA?
Stato, destre e padroni stanno cavalcando la pandemia riducendo le complessità e le
relazioni tra le diverse oppressioni per separarle, renderle inoffensive, manipolabili e
sfruttabili ai fini produttivo-capitalistici.
Mentre sinistra e Confindustria speculano sulle nostre vite, da oltre un anno assistiamo
all’estendersi di derive razziste, abiliste, xenofobe e sessiste, che dal regno del
pregiudizio tornano ad affermarsi attraverso un principio di determinazione aspecifico
che strizza l’occhio ad uno spietato darwinismo sociale travestito da libertà, volto a
naturalizzare le ingiustizie sociali.
Intimamente convintx che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e
alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma
sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo
sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli
interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.

SU CURA E SALUTE NEL CONTESTO CAPITALISTA
La pandemia ha messo in luce quanto siamo disabituatx a considerare i concetti di
‘salute’, ‘malattia’, ‘cura’, in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione
socio-economica.
Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati,
aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello
sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato
l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.
Si tratta di nuovi paradigmi produttivi meno fondati sulla fabbrica e più sui servizi: la
merce sei tu.
Anche la salute è sempre più individualizzata. Divenuta di pertinenza esclusiva di una
medicina organizzata definitivamente come corpo separato, la dimensione della ‘cura’
riflette l’organizzazione del corpo sociale a partire dalla divisione del lavoro e dalla
divisione in sfere sempre più isolate e mercificate di tutti i fenomeni umani.
Di quel ‘sistema sanitario’ tanto celebrato eredità delle lotte e delle agitazioni dei
movimenti degli anni ’70, rimane poco e niente, un’azienda tra le aziende annientata
dalle violente privatizzazioni.
Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche, la maggior parte dell’insieme di
attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita è lavoro salariato al ribasso,
ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza.
Quanto non è compreso dai ‘servizi’ rimane tombato nelle case, schiacciato in quel
privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.
Da controaltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di
sfruttamento capillarizzato e in costante crescita.
L’assenza di culture dal basso in merito ai temi della ‘salute’, della ‘malattia’ e della ‘cura’
ha determinato la delega ai tecnici, totale e assoluta, e lasciato campo libero agli
interessi del Capitale di espropriare le fasce oppresse della popolazione da scelte e da
possibili processi di autodeterminazione in merito.
L’infantilizzazione che lo Stato sta attuando sul corpo sociale è lo specchio del livello di
delega che il corpo sociale ha concesso allo Stato e al Capitale.
Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della
comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglienza, al mercato delle
tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali,
nonchè l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la
tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratorx per
creare la ricchezza della ‘classe dirigente’ che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi
oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi
sociali ed economici.
Ma una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia
realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad
un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento
è infatti composta da molteplici oppressioni che altrimenti rischiano di essere
invisibilizzate.
Si tratta quindi di impegnarsi nello svelare le interellazioni tra le diverse oppressioni che
stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento
sistemico, globalizzato e interconnesso.

QUALCHE RIFLESSIONE SU OBBLIGO VACCINALE E TUTELA DAL VIRUS
E’ la prima volta che vaccini basati sulla tecnologia a mRNA vengono sperimentati e non
ci sono garanzie sul comportamento a lungo termine: già solo questo dovrebbe bastare
nel considerare qualsiasi obbligo, ricatto o pressione, moralmente sbagliato.
Per questa campagna vaccinale il dubbio, che pure costituisce il motore dello stesso
metodo scientifico, non è ammesso. La medicina, intesa nella sua applicazione tecnico farmacologica, si erge a scienza esatta rinnegando le stesse basi filosofiche che la
animano.
Lo stesso Stato che ha compiuto impunemente stragi, cerca di costruire un nemico
unico e perfetto, scaricando l’emergenza su chi non risponde prontamente ad una
scelta che ha tutto il diritto di essere ponderata.
Oscillare tra carità e punizione, polarizzare le posizioni, serve a scaricare le
responsabilità, ad individualizzare le colpe, a livellare le contraddizioni e ad abbattere
tutto ciò che non si conforma al ritmo stabilito dal Capitale.
Se da una parte è necessario lottare per l’accesso a possibilità di cura per tutti e tutte,
contro i brevetti e i profitti delle multinazionali sulla pelle di chi soffre, dall’altra
legittimare l’imposizione di una vaccinazione sperimentale con coercizione e ricatto
rappresenta un pericoloso precedente che non riguarda esclusivamente la minoranza
relativa di coloro che non vogliono/non possono vaccinarsi.
E’ importante considerare che il rifiuto dei farmaci o dei vaccini non si configura solo
come privilegio, rimane aperto il tema del rapporto tra medicina e culture, tra medicina
occidentale e colonialismo medico, fermo restando le disparità di accesso alla salute in
un sistema globalizzato di sfruttamento dove le diseguaglianze hanno stretti legami di
interdipendenza.
Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito
costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da
tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato
paternalista che ha bisogno di infantilizzare il corpo sociale per tutelare esclusivamente
i propri interessi economici.
Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci ha impedisce di interrogarci
sulla necessità di tutela di contagio dal virus, soprattutto per quanto riguarda chi è piu
esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le
relazioni sono imposte e non volute. E’ evidente che dove non c’è spazio per la
soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la
burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e
comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute
‘improduttive’.
Se è vero che la vaccinazione stia risultando efficace nell’abbassare i ricoveri, le morti e
la pressione sul sistema sanitario, è vero anche che la campagna vaccinale portata
avanti dal governo a reti unificate ha spinto moltx a non tenere nessuna precauzione
circa reazioni avverse anche gravi che potevano essere evitate.
É importante considerare che la ‘protezione’ al momento si riferisce ad un minore
rischio di infettarsi, quindi di contrarre la malattia in modo grave e di trasmettere il virus.
Non tutela davvero dalla possibilità di contagiarsi e contagiare, ma diminuisce la
probabilità che soggetti fragili contraggano la malattia, o la contraggano in modo
grave.
Mentre tuttx fuori, rassicurati dai proclami di Stato, si sono completamente disinibitx
per quanto riguarda qualsiasi misura di prevenzione di base – perchè è arrivato il
vaccino e basta il green pass – è evidente invece che il dispositivo tecnico della
vaccinazione non basterà.
Appellarsi ad un senso di ‘comunità’ nella società neoliberista assume caratteri farseschi
quando tre quarti del mondo non ha accesso a livelli di salute minimi.
Prevenzione, riduzione del danno, redistribuzione delle risorse non se ne vedono,
rapporti di forza per mettere in discussione un sistema al collasso che si ostina a tirare
dritto nonostante tutto e tutti, nemmeno.
Intanto le case farmaceutiche produttrici di vaccini a mRNA – quelli che si stanno
rivelando statisticamente più efficaci – alzano il prezzo dei farmaci.
Si procede per ricatti, e saranno sempre di più.
SU GREEN PASS
Ed è così che si arriva al green pass, un’escamotage che lo Stato sta trovando per
scaricare di nuovo su gli individux le proprie responsabilità: si ricattano le persone con
un documento che le metterà all’angolo per poter accedere a molte attività al chiuso,
esasperando ulteriormente differenze e certificando nuove discriminazioni.
Una misura che non ha niente a che vedere con la tutela della salute e con qualsiasi
concetto di prevenzione. Chi diventerà lo sbirro di chi? Potrebbe diventare obbligatorio
per trasporti a lunga percorrenza, per la scuola e per il lavoro.
Opporsi a questo ricatto non solo è giusto, ma necessario.
Scegliendo deliberatamente di lavarsi la coscienza, lo Stato sta sancendo un’ulteriore
frattura tra un’umanità di serie A e un’umanità di serie B per tutelare gli interessi dei
soliti noti, liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno
segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.

CHI HA PAGATO FIN’ORA E CHI PAGHERÀ?
A ogni latitudine sono state le fasce della popolazione più svantaggiate – all’interno delle
quali si trovano la maggior parte dei migrantx e dei non bianchx – a essere colpite dalla
pandemia.
Le frontiere hanno mostrato tutta la loro violenza evidenziando come a questo mondo
muri e confini esistano sempre e soltanto contro i poveri, mentre merci ed economie
assassine possono girare indisturbate.
La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità
dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano
solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a
profitto.
L’ultimo anno ha messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo
sistema di sfruttamento:
La strage nelle carceri ha svelato la violenza strutturale su cui si fondano tutti i luoghi di
reclusione, oltre che l’omertà dell’intervento sanitario nelle galere italiane, dove
l’eccezione non è la ‘malasanità’, ma trovare un medico non connivente con le guardie. Il
silenzio di medici e infermieri è stato assordante rispetto gli abusi compiuti in quei
giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri: la salute nei
luoghi di reclusione è isolamento, annientamento, deprivazione, contenzione fisica,
farmacologica, psicologica, violenza e repressione sistemica. La reclusione genera
disturbi e menomazione, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si
protraggono anche dopo la scarcerazione. A questo si aggiungono la fatiscenza
strutturale degli ambienti, l’insalubrità del cibo, l’assenza di docce, e il trito e ritrito
affollamento, buono soltanto come scusa per mantenere intatto il meccanismo.
Negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strutture sociosanitarie si é consumata
una strage silenziosa e taciuta: operatrici e operatori sbattuti in reparti covid senza
formazione e protezioni adeguate, lavoratorx ‘usa e getta’ obbligatx a lavorare pure se
positivx fino alla comparsa dei sintomi, protocolli fatti di tachipirina e vigile attesa e
persone murate in casa senza alcuna cura o visita medica e condannata alla morte.
Mentre il numero dei morti saliva il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei
padroni prima ancora della salute delle persone, come osservato drammaticamente in
Lombardia, dove ospedali e luoghi di lavoro hanno continuato ad alimentare inesauribili
il serbatoio dei positivi.
Deroga su deroga si sono continuate a tenere aperte le grandi fabbriche per volere di
Confindustria costringendo le persone ad andare a lavoro sui mezzi pubblici, mentre si
chiedeva in parlamento uno scudo penale bipartisan per proteggere imprenditori e
manager delle aziende pubbliche.
Anche l’istituzione scolastica ha mostrato tutta la sua ipocrisia: milioni di euro per
l’acquisto di banchi a rotelle per la didattica digitale ‘a seduta innovativa’ spacciati come
misura anticovid, mentre la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto.
La morte è stata rimossa, strumentalizzata, spettacolarizzata, per essere piegata ad una
propaganda del terrore che ha impedito qualsiasi processo collettivo di socializzazione
del lutto e di condivisione del dolore.
Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta
oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di
proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista
ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venutx prima delle
persone.
Tutto questo è sempre stato vero, non è arrivato oggi col covid e non andrà via con un
vaccino.

CONCLUSIONI
L’isolamento imposto durante il lockdown si è insediato su una condizione di profonda
miseria umana e materiale che ha sterilizzato rapporti e legami e impedito elaborazioni
critiche dei vissuti e della realtà, mostrando come questo sistema capitalista sia il vero
responsabile dell’alineazione e della povertà che solca a tutti i livelli le nostre relazioni e
le nostre possibilità di autodeterminazione e riappropriazione, oltre che il principale
attore della frammentazione/atomizzazione che ci attraversa.

CHE FARE?
Intanto ricostruire un tessuto umano in grado di rimettere in campo rapporti di forza,
riappropriarsi dei quartieri, di bisogni e desideri, tessere alleanze e intersezioni,
costruire solidarietà, riprendersi zone autonome e indipendenti dal potere statale, farla
pagare a chi sfrutta e opprime.
Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare,
vediamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando.

Agosto 2021, Bologna

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