IN QUESTO PAESE I MORTI NON SONO TUTTI UGUALI
Nessuna morte lascia
indifferenti, e l’omicidio della dottoressa Barbara Capovani ci ha
colpito profondamente. Una morte sul lavoro e un femminicidio,
ennesimi di una serie troppo lunga. Un omicidio efferato. Per noi
dei collettivi antipsichiatrici, che da anni assistiamo attivamente
le vittime dell’abuso psichiatrico e ne denunciamo pubblicamente e
convintamente gli eccessi e le storture, la spaventosa morte della
psichiatra pisana ha rappresentato un momento di riflessione
profonda. Le righe che seguono rappresentano dunque un doveroso
approfondimento frutto del nostro confronto interno.
Perché questo terribile
evento deve giustamente far riflettere sotto diversi punti di vista.
Senza minimizzare in alcun
modo la specificità della violenza perpetrata e subita, non
possiamo fare a meno di contestualizzare quanto accaduto all'interno
dell'effetto amplificatore di una violenza sistemica che permea
l'intera istituzione psichiatrica. Il sistema psichiatrico è
strutturalmente fondato su dispositivi oppressivi mascherati da
"cura” che circolano nascostamente in tutte le relazioni,
pronti a scatenarsi alternativamente sui soggetti – sempre i più
deboli, per un motivo o per l'altro – che lo attraversano, almeno
finché non viene denunciata pubblicamente ed esplicitamente
affrontata.
Nel corso degli ultimi anni
numerose sono state le morti violente sia all’interno dei reparti
psichiatrici sia durante gli interventi delle forze dell’ordine
nell’attuare i TSO (Trattamenti Sanitari Obbligatori). Doveroso
ricordare alcuni dei casi più dolorosi: Giuseppe Casu legato al
letto per una settimana nel SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e
Cura) di Cagliari nel 2006. Francesco Mastrogiovanni legato 87 ore
nel SPDC di Vallo della Lucania nel 2009. Mauro Guerra morto nel
luglio 2015 in provincia di Padova ucciso da un carabiniere mentre
cercava di sottrarsi a un TSO illegittimo e illegale. Andrea Soldi
morto soffocato durante un TSO ad opera di tre vigili urbani in
presenza di uno psichiatra a Torino nell’agosto del 2015. Elena
Casetto, una ragazza di 19 anni bruciata viva perché legata a un
letto nel SPDC di Bergamo nell’agosto 2019. Matteo Tenni, aprile
2021, che per non essersi fermato a un posto di blocco, non avendo
con sè la patente, viene ucciso sotto casa davanti agli occhi della
madre da un colpo di arma da fuoco sparato dai carabinieri,
nonostante fossero a conoscenza che Matteo era seguito dai servizi
psichiatrici sul territorio. Nello stesso anno, nel mese di
dicembre, Wissem Abdel Latif muore dopo essere stato legato più di
100 ore in un corridoio del reparto psichiatrico dell’ospedale San
Camillo di Roma. Fino alla recentissima morte di Simone Di Gregorio
che, ad agosto del 2023 a San Giovanni a Teatino, corre nudo per
strada e muore in ambulanza dopo che i carabinieri gli sparano
("...per far
calmare l'uomo...")
ben due volte con il taser e gli viene somministrata una dose di
psicofarmaci.
L’elenco potrebbe continuare
ancora a lungo.
Tali drammatici episodi
avrebbero dovuto suscitare clamore e dibattiti, ma così non è
stato, quasi fossero persone di serie B. Ci domandiamo perché i
giornali, le televisioni e la maggior parte degli operatori e del
personale sanitario che lavora nei servizi di salute mentale non
prenda posizione contro i metodi coercitivi e manicomiali che hanno
portato a tali violente morti.
Nei reparti psichiatrici
italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in
regime di degenza che durante le procedure di TSO. La contenzione
non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un
evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la
subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente
la relazione terapeutica. Ribadiamo la necessità di proibire, senza
alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni
sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.
Oltre al ricorso alla
contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a
prevalere in molti servizi psichiatrici un atteggiamento violento,
custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi
manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre,
sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle
telefonate e di altre relazioni e abitudini. Ad oggi in Italia
abbiamo 329 reparti psichiatrici, gli SPDC e circa 3200 strutture
psichiatriche residenziali e centri diurni sul territorio dove in
molti casi si sono conservati gli strumenti propri dei manicomi,
quali il controllo del tempo, dei soldi, l’obbligo delle cure, il
ricorso alla contenzione e l’elettroshock. Ci teniamo a ribadire
che nonostante le vesti moderne l’elettroshock (praticato anche
nei reparti SPDC, come quello dell’ospedale Santa Chiara di Pisa)
rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all’integrità
psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche
psichiatriche come il TSO, l’elettroshock è un esempio, se non
l’icona, della coercizione e dell’arbitrio esercitato dalla
psichiatria. Il percorso di superamento dell’elettroshock e di
tutte le pratiche non terapeutiche (obbligo di cura, contenzione
meccanica e farmacologica, internamento) deve essere portato avanti
e difeso in tutti i servizi psichiatrici, in tutti i luoghi e gli
spazi di cultura e formazione dove il soggetto principale è una
persona, che insieme ai suoi cari, soffre una fragilità. Siamo
convinti che ci siano persone, tra coloro che operano all’interno
delle strutture sanitarie, che si rifiutano di essere complici di
questo sistema di oppressione e che preferiscono slegare piuttosto
che contenere, ascoltare piuttosto che mettere a tacere con i
farmaci, essere solidali con chi si sottrae alle logiche di
competizione. Sono loro che vorremmo al nostro fianco.
Altre violenze quotidiane
all’interno delle tante strutture psichiatriche pubbliche o
private convenzionate disseminate nel territorio nazionale sono meno
eclatanti ma ugualmente oppressive: i colloqui con lo psichiatra
spesso sono troppo brevi, giusto il tempo per darti la terapia e
senza la possibilità di essere ascoltati o di esprimere i dubbi e
le difficoltà. Si è obbligati a frequentare i servizi psichiatrici
e costretti ad assumere psicofarmaci spesso per il resto della vita,
proprio come un “diabetico prende l’insulina”. Inoltre la
possibilità di ricevere un piccolo stipendio induce le persone, in
carico ai centri d’igiene mentale, ad accettare spesso lavori
umilianti, sottopagati, ripetitivi e poco stimolanti. L'unico
interesse della psichiatria non sembra essere quello dichiarato
della "cura", ma la progressiva cronicizzazione del
malessere: tutte le altre discipline mediche hanno come obiettivo la
dimissione del malato, il sistema psichiatrico, invece, ti prende in
carico a vita.
Altro discorso riguarda le
fallimentari politiche sanitarie e i trent’anni di continui tagli
che hanno reso i pronto soccorsi e gli altri reparti ospedalieri
sempre più simili a catene di montaggio: tempi stretti, ricette e
farmaci (obbligatori nei Centri di Salute Mentale). C’è sempre
meno attenzione alle relazioni e all’empatia verso le persone in
difficoltà.
E non è un caso che, mentre
si taglia la sanità, la Regione Toscana preveda lo stanziamento di
5 milioni di euro per ampliare la già esistente REMS (Residenza
Sanitaria per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza) di Volterra.
Occorre sapere che la legge 81/2014 riserva agli autori di reato
dichiarati “totalmente o parzialmente incapaci di intendere e di
volere per infermità mentale” - definiti "folli rei" -
un iter giudiziario diverso da quello destinato ai detenuti comuni,
che prevede le REMS, istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG
(Ospedali Psichiatrici Giudiziari). In questo iter giudiziario la
pericolosità sociale di derivazione manicomiale la fa ancora da
padrona. Con le REMS viene infatti ribadito il collegamento
inaccettabile cura-reclusione riproponendo lo stigma manicomiale. Ci
si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte
degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le
caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta
sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la
responsabilità della custodia, ricostituendo in concreto il
dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del
curante-custode. Tradotto significa l’inizio di un processo di
reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato
indissolubilmente a pratiche e percorsi coercitivi, obbligatori e
contenitivi. Il manicomio non è una struttura è un criterio. Non è
solo una questione di dove e come lo fai, se c’è l’idea della
persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi
sarà sempre un manicomio. Il problema resta l’isolamento del
soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento
nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione
e che nessuno mette mai in discussione. Sarebbe essenziale superare
il modello di internamento, non riproporre gli stessi meccanismi e
gli stessi dispositivi manicomiali. Non tutti però finiscono nelle
REMS. Nelle carceri sono state istituite le Articolazioni Tutela
Salute Mentale per quelle detenute e quei detenuti con una
valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi
successiva al giudizio - definiti "rei folli" - e che non
possono perciò accedere alle REMS, che prevedono inoltre già di
per sé lunghe lista di attesa. Le Articolazioni Tutela Salute
Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità che
esasperano la sofferenza della detenzione con l'isolamento
prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si
tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico”
ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione
penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in
relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano
spenti i riflettori. Veri e propri manicomi all’interno delle
carceri.
E poi c'è l'abuso di
psicofarmaci all'interno dei CPR (Centri
di Permanenza per il Rimpatrio) che,
come testimoniato da più parti, vengono profusi anche con il cibo
senza che le persone siano, quindi, consapevoli di assumerli. Lì
non è previsto alcun consenso così che, addormentati e storditi,
non diano fastidio, non avanzino richieste e accettino le terribili
condizioni di vita all'interno di quei luoghi, pregni del più
becero razzismo. Condizioni che il Ministro Piantedosi ha definito
"non gradevoli". Non staremo qui ad entrare in modo
dettagliato in cosa esattamente consista questa non gradevolezza. Ci
sono diverse fonti da cui poter attingere informazioni a riguardo.
Ciò che vogliamo sottolineare
è che tutti questi luoghi di detenzione, prima o poi, apriranno le
loro porte facendo uscire soggetti ormai assuefatti e dipendenti da
psicofarmaci e assolutamente debilitati dal loro uso. Una folla di
persone, ora sì, malate e comunque non certo in salute considerate
le conseguenze psico-fisiche provocate dal protrarsi dell'assunzione
di quei farmaci.
Siamo ben lontani,
quindi, dalle facili strumentalizzazioni e prese di posizione
(articoli, trasmissioni, dichiarazioni di esponenti politici o dei
“soliti esperti”) molto discutibili che hanno cavalcato la
notizia della tragica fine della psichiatra pisana. Alcuni, in nome
della sicurezza e del controllo sociale, sono giunti addirittura a
chiedere la riapertura dei manicomi. Non sono mancati neanche
attacchi alla Legge 180 e ai movimenti antipsichiatrici critici
verso i sempre più frequenti abusi nell’ambito della salute
mentale. Molti difensori del modello organicista hanno cercato di
sfruttare questa tragedia per screditare coloro che mettono in seria
discussione il modello psichiatrico coercitivo.
Continueremo a lottare con
forza contro ogni forma di manicomio e di coercizione (obbligo di
cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock,
contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il
superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà
personale. Un concreto percorso di superamento delle pratiche
psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura
non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente
diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e
di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi
repressivi e omologanti della psichiatria.
Assemblea
Rete Antipsichiatrica
assembleaantipsichiatrica@inventati.org