LA CONTENZIONE FARMACOLOGICA DELL’INFANZIA
LA
CONTENZIONE FARMACOLOGICA DELL’INFANZIA
a cura del
COLLETTIVO ANTIPSICHIATRICO ANTONIN ARTAUD
appendice al libro di Wiliam Frediani "Seduti e zitti! Invettiva sull'istituzione scolastica." edizioni Sensibili alle foglie gennaio 2020
C’è
qualcosa che deve essere ancora scoperto che possa identificare che cosa è
l’ADHD e cosa non lo è. (Keith
Conners)[1]
Il campo nel quale, negli ultimi anni, si è registrato
il maggiore aumento di diagnosi psichiatriche e prescrizioni di psicofarmaci è
senz’altro quello dell’infanzia e dell’adolescenza. Oggi a scuola sono sempre
di più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche, in particolare disturbo
dell’adattamento, dell’attenzione, iperattività̀, depressione, disturbo
bipolare. L’introduzione di nuove patologie infantili, nell’ultimo Manuale
Diagnostico e Statistico (DSM) del 2013, allarga i confini diagnostici tra ciò
che è normale e ciò che non lo è, favorendo l’entrata in psichiatria di un
numero sempre più alto di bambini, a cui sono prescritti psicofarmaci per
periodi più o meno lunghi della loro vita.
Il DSM è oggetto di profonde critiche di metodo e di
merito, accusato di aver ampliato a dismisura lo spettro delle patologie
psichiatriche. Si tratta di un aumento percentuale, senza precedenti in Italia,
e che pone più di un dubbio sull’attuale boom terapeutico a cui sono sottoposte
le giovani generazioni nel nostro Paese. Tutti i dati statistici confermano una
sensazione diffusa tra chi passa la propria vita, professionale e non, nelle
aule della scuola italiana: siamo di fronte a un aumento esponenziale di
diagnosi e certificazioni di disabilità, di patologie psichiatriche, disturbi
e difficoltà.
L’esplosione delle diagnosi (passate da 1,4% del 1997/98
a 3,1% del 2017/18), mostra come in venti anni esse siano più che raddoppiate:
da 123.862 a 268.246. Salta agli occhi il fatto che attualmente la tipologia più
diffusa è quella delle disabilità intellettive che da sole rappresentano il
68,4% del totale.[2]
L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è
quella di farsi coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta un bambino
disturba o contrasta i programmi formativi. Il “disagio” comportamentale,
invece di essere valutato come un campanello d’allarme nella relazione con
l’adulto, viene incasellato come un problema mentale del bambino, dispensando
così l’educatore o l’insegnante dal modificare l’approccio educativo e
delegando il problema a un neuropsichiatra. “L’educatore così –
deresponsabilizzato e dispensato dal dover modificare il proprio approccio
educativo – delegherà̀ a un esperto il problema (reale o apparente che sia), il
quale lo affronterà̀ dal punto di vista della salute mentale. La pedagogia di
stampo più repressivo si rinnova nel tentativo di contenere chimicamente quelle
condotte non riconducibili alla norma; così si elimina la soggettività̀, si disciplina
quella potenziale libertà presente nell’infanzia che, attraverso desideri e
aspirazioni, porterebbe a una personale interpretazione dell’esistenza”.[3]
Vince così il paradigma biologico secondo cui questi
bambini hanno qualcosa che non va nel loro cervello e per questo dovranno
assumere psicofarmaci. Molti psichiatri trovano più semplice dire ai genitori e
agli insegnanti che il bambino ha un disturbo mentale anziché́ suggerire dei
cambiamenti rispetto alla genitorialità̀ o all’educazione. Il comportamento
considerato deviante e non conforme ai canoni prestabiliti di normalità̀ viene
isolato, fotografato, trasformato in diagnosi, strappato al rapporto
relazionale insegnante-alunno e, sempre più spesso, curato con i farmaci. La
medicalizzazione della scuola è inquadrabile all’interno dell’esigenza di
ridurre a una risposta semplice e immediata l’interazione complessa dei diversi
fattori che determinano i comportamenti in età̀ evolutiva.[4]
A partire dal 2012 una serie di circolari e direttive
ministeriali ha imposto nelle scuole l’individuazione degli alunni con BES
(Bisogni Educativi Speciali). I BES sono un immenso calderone che comprende,
suddivisi in tre macro categorie, “disabilità”, “disturbi”, “disagi e
svantaggi”. Di solito l’acronimo viene usato per indicare solamente i BES di
terzo tipo, quelli del “disagio” o dello “svantaggio”.[5] A
otto anni dall’avvio della farraginosa macchina dei BES, il MIUR
(Ministero dell’Istruzione, dell’Università̀ e della Ricerca) non ha ancora
fornito cifre attendibili sui cosiddetti BES di terzo tipo; ci sono comunque
dati che stimano intorno a un milione la cifra totale, fra cui sarebbero
compresi 80.000 studenti con ADHD (Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività̀)
e circa 400.000 con funzionamento intellettivo ridotto, con un’incidenza pari
al 5% sull’intera popolazione studentesca italiana. In mancanza di statistiche più
attendibili, sembrerebbe che proprio le difficoltà momentanee, come la
timidezza, l’ansia, i dissesti economici, il lutto, i problemi di lingua
conseguenti alle migrazioni, e le circostanze avverse della vita siano i
principali protagonisti dei pervasivi meccanismi medicalizzanti e
psichiatrizzanti che stanno scuotendo dalle fondamenta la scuola italiana.[6] È
significativo il fatto che in Italia gli alunni stranieri
siano 815.000, il 9,2% dell’intera popolazione scolastica e di questi il 12%
sia stato certificato.[7]
Oggi, a scuola, si mira sempre più a un addestramento
alla produttività̀, all’efficienza e alla centralità̀ del risultato. Molti
insegnanti sono stati convinti dall’autorità̀ dello psichiatra che i bambini
che esprimono comportamenti sofferenti abbiano bisogno di farmaci stimolanti
per cui i maestri e le maestre hanno rinunciato alla ricerca di soluzioni in
classe per risolvere i problemi. In realtà̀ questi docenti dovrebbero essere
incoraggiati a cercare e trovare nuovi metodi nell’educazione.
Insegnare dovrebbe dare priorità̀ alla relazione, sapere
e poter sperimentare approcci didattici e pedagogici a seconda della persona
con la quale ci si rapporta. Esistono approcci didattici e pedagogici che, anziché́
sopprimere la spontaneità̀, aiutano gli studenti che manifestano “disagio” ed
evitano di trattare il loro cervello in crescita con sostanze altamente
tossiche come gli stimolanti. Insegnare è un’attività̀ fluida, cangiante,
sfumata, che cambia da persona a persona, da situazione a situazione, proprio perché́
basata sull’interazione e non sui dogmi. L’attività̀ dell’insegnamento ha tante
caratteristiche, ma non dovrebbe avere quella dell’assolutezza, dell’indiscutibilità̀,
della categoricità̀. Non esistono metodi validi in assoluto: insegnare è un’attività̀
che fa interagire soggettività̀, singole e di gruppo. Significa condividere
pezzi di vita, conoscenze ed esperienze. Non indottrinare, ma interagire; non
preparare al lavoro, ma preparare alla vita.[8]
Una delle diagnosi fra le più diffuse a scuola è quella
di ADHD, che raggruppa un insieme di comportamenti considerati inadeguati e
anormali dello scolaro, che possono essere causati da innumerevoli fattori,
come l’ansia per la scuola o per le verifiche, l’impreparazione scolastica, una
classe noiosa, un insegnamento inadeguato, problemi e conflitti a casa o a
scuola, cattiva alimentazione e insonnia. La diagnosi di ADHD non mette in
relazione lo stato mentale, l’umore e i sentimenti del bambino e non dà luogo
a una valutazione completa dei suoi bisogni reali per migliorare l’educazione e
la genitorialità̀.
Tale diagnosi ha determinato il ricorso sempre più
massiccio all’utilizzo di sostanze psicotrope come il Ritalin, uno stimolante a
base di metilfenidato prodotto dalla Novartis Farma Spa, che ha effetti simili
a quelli delle anfetamine. Il Ritalin agisce principalmente sulla ricaptazione
della dopamina, ma non sono chiare né la gamma completa delle sue interazioni
biochimiche, né la modalità̀ d’azione.[9]
Un altro farmaco utilizzato è lo Strattera
(atomoxetina), un inibitore della ricaptazione della noradrenalina. La casa
produttrice Ely Lilly non è riuscita a farlo approvare per la depressione, ma
lo vende come trattamento “non stimolante” per l’ADHD. Molti bambini hanno
sviluppato impulsi suicidi e omicidi sotto l’effetto dell’atomoxetina, che può̀
inoltre provocare insufficienza epatica.[10] Negli
Stati Uniti, negli ultimi anni, ai bambini piccoli con diagnosi di ADHD viene
somministrato l’Adderall, un composto di sali di anfetamina precedentemente
utilizzato per la riduzione di peso con il nome di Obetrol, screditato e
ritirato dal mercato poiché́ creava dipendenza. Questo farmaco è stato
ritirato dal mercato canadese nel 2005 dopo che quattordici bambini sono morti
improvvisamente e due hanno avuto un ictus.[11]
Di certo gli stimolanti a qualcosa servono: aiutano il
contenimento di comportamenti considerati anormali. I farmaci per l’ADHD sono
popolari tra gli insegnati perché́ rendono il loro lavoro più facile, ma è
giusto dare farmaci ai bambini per renderli meno disturbanti? Gli stimolanti
non producono miglioramenti duraturi rispetto all’aggressività̀, al disturbo
della condotta, agli atteggiamenti violenti, all’efficacia negli apprendimenti,
alle relazioni.[12]
Ebbene, anche nel caso in cui gli psicofarmaci
producessero risultati positivi dal punto di vista del comportamento a scuola,
sarebbero d’aiuto per il bambino? Oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle
cause della sofferenza della persona, gli psicofarmaci alterano il metabolismo
e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità̀
di fare scelte autonome, generando fenomeni di dipendenza e assuefazione del
tutto pari – se non superiori – a quelli delle sostanze illegali classificate
come droghe pesanti. Presi per lungo tempo, possono portare a danni neurologici
gravi che faranno del bambino un disabile.
È compito degli adulti difendere le nuove generazioni
tornando a riflettere sull’importanza dell’ambito sociale, comunitario e
relazionale per la loro educazione. È necessario che genitori, insegnanti,
educatori e tutti coloro che hanno a che fare con i bambini, non cedano al
riduzionismo psichiatrico, non psichiatrizzino ogni comportamento disturbante
e/o sofferente, affinché́ la fantasia, il senso critico e la libertà di scelta
possano continuare a caratterizzare l’infanzia.[13]
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org - www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669 via San Lorenzo 38 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org - www.artaudpisa.noblogs.org 335 7002669 via San Lorenzo 38 Pisa
[1] Keith Conners, psicologo
americano, storico pioniere degli studi sull’ADHD e “padre” del test Conners
Rating Scale, uno degli strumenti diagnostici più utilizzati nelle scuole per
accertare l’ADHD.
[2] http://www.giornale.cobas-scuola.it/ossessione-diagnostica/
[3] Gazzola C., Ortu S., Divieto
d’infanzia, BFS Edizioni, Pisa, 2018, p. 11.
[4] http://www.giornale.cobas-scuola.it/richiamo-allordine/
[5] Gazzola C., Ortu S., Divieto
d’infanzia, op. cit.
[6] http://www.giornale.cobas-scuola.it/ossessione-diagnostica/
[7] Santerini M., “Diamo a
ciascuno il tempo di cui ha bisogno”, in: Conflitti. Rivista italiana di
ricerca e formazione psicopedagogica, n. 3, 2017, p. 32.
[8] http://www.giornale.cobas-scuola.it/richiamo-allordine/
[9] Esposito A., Le
scarpe dei matti, Ad Est dell’Equatore Editore, Napoli, 2019.
[10] Whitely M., “Strattera
a sad story (warning it may make you want to kill your- self)”, 2015, su
http://www.speedupsitstill.com/strattera/
[11] Gotzsche P.C., Psichiatria
letale e negazione organizzata, Fioriti Editore, Ro- ma, 2017.
[12] Whitaker R., Indagine
su un’epidemia, Fioriti Editore, Roma, 2013. 13 Gazzola C., Ortu S., Divieto
d’infanzia, op. cit.