CRIMINI di PACE: ELENA 19 ANNI ARSA VIVA IN UN REPARTO PSICHIATRICO
CRIMINI di PACE:
ELENA 19 ANNI ARSA VIVA IN UN REPARTO PSICHIATRICO
Il 13 agosto, nell’ ospedale papa Giovanni XXIII di Bergamo,
divampa un incendio. A seguito di ciò muore una ragazza di diciannove anni,
legata ad un letto di contenzione. Il suo nome è Elena. La direzione sanitaria
si affretta, attraverso gli organi di stampa, a giustificare la contenzione
come forma di tutela esercitata proprio “a beneficio” della paziente, rea di
aver precedentemente tentato il suicidio.
La morte di Elena, è sicuramente un
dramma personale che esige cautela nell’ affrontarlo. Rispettando soprattutto il dolore di chi l’ha amata. Tuttavia non si
può neppure considerare un episodio isolato.
Vorremmo ricordarli tutti e tutte. Nome per nome. Ma la
lista di quanti e quante hanno perso la vita in reparto in circostanze, per
certi versi analoghe, è interminabile.
Le morti in spdc (Servizi psichiatrici diagnosi e cura) esprimono realisticamente
lo stato dell’ arte della democratica psichiatria post manicomiale a più di 40
anni dall’ entrata in vigore della legge 180. La mesta continuità con cui si
verificano evidenzia la contraddizione di una presa in carico giustificata
dalla cura del paziente, che passa attraverso la coercizione, la
disumanizzazione, il panottismo.
Come mai una pratica, che la legge contempla come eccezione
e rispetto alla quale ha elaborato protocolli d’ applicazione, viene esercitata
con sistematicità e in modo assolutamente “discrezionale” ? I reparti
ospedalieri restano non luoghi di rimozione della coscienza collettiva.
Universi concentrazionari dove si
consuma ferocemente la separazione fisica e concettuale tra sani e malati. La
segregazione a cui i/le pazienti sono
sottoposti/e registra quanto ancora sia
in voga il paradigma manicomiale. Quanto la psichiatria declini il proprio intervento in chiave
custodialistica. Quasi a voler ancora salvaguardare le relazioni sociali dalla
contaminazione con lo stato morboso.
Inoltre, in nome della tanto sbandierata sicurezza, ogni
stanza è dotata di telecamera, collegata ad un pannello situato in un luogo
centrale del reparto. Dietro al monitor si presume esserci un infermiere/sorvegliante.
Viene da chiedersi: come mai la tecnologia a disposizione del personale si è rivelata inefficace circa lo scopo per
la quale è stata impiegata? Perché non ha messo in sicurezza i pazienti? In
verità dietro alle lenti si rifrange l’occhio clinico, programmato per
registrare quei comportamenti “utili” all’economia delle diagnosi. Proprio le
pratiche che sussistono nei reparti
rivelano i motivi economico politici a suffragio dei neo manicomi. Non
luoghi deputati a dar visibilità alla malattia mentale. A dargli un nome che
rientri nella tassonomia diagnostica. Il tema della sicurezza è una scusa per
aggirare la normativa sulla privacy. Un alibi utile ad accreditare l’ associazione
tra comportamento deviante e valutazione clinica.
Ciò che viene comunemente percepito come una misura di
tutela, si rivela così un buon strumento per definire con più enfasi, il
profilo patologico del paziente. D’altronde, quest’ ultimo potrà impugnare le
riprese video a crimine già avvenuto, quando è ormai vittima conclamata di un
abuso. La storia di Mastrogiovanni dice forse qualcosa?
La 180 è una rivoluzione tradita. Oggi dei suoi principi
ispiratori non resta che la retorica. Eppure, dalla lettura del presente,
emergono le stesse contraddizioni di sempre!
La triste vicenda di Elena non può esser archiviata come un
incidente o un episodio di malasanità. Fermare le morti in spdc vuol fare i
conti con i diritti negati, con lo stato d’ abbandono che vivono i/le pazienti.
Una deprivazione che si esprime ad un livello fisico, affettivo, quanto
giuridico.
“…E dunque, non chiedere mai per chi suona la campana: suona
per te” .
La morte di Elena è un fatto che riguarda tutti. Per questo
viene spontaneo scandire, anche con rabbia, due parole: verità e giustizia.
La morte di Elena è un ulteriore crepa, nel muro di menzogne
e complicità, che la psichiatria clinica erige intorno alle proprie pratiche e
alla propria cultura.
BASTA MORTI NEI
REPARTI PSICHIATRICI!!
Alcune persone di Bergamo – il Collettivo Antipsichiatrico
Antonin Artaud di Pisa