CHIUDERE TUTTI I MANICOMI CRIMINALI: campagna per la CHIUSURA degli OPG
CHIUDERE TUTTI I MANICOMI CRIMINALI
CAMPAGNA PER LA CHIUSURA DEGLI OPG
(gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari)
LIBERIAMOCI DEI MANICOMI
LIBERIAMOCI DELLA PSICHIATRIA
a cura di
RETE ANTIPSICHIATRICA
Tra realta’ psichiatrica e carceraria...
CENNI STORICI
Il
Manicomio Criminale (MC) come principale istituzione per l’esecuzione
delle misure di sicurezza è stato introdotto nel 1876 e regolamentato
nel 1930 con il Codice Rocco.
Nel
1891, con il Regio Decreto 1 febbraio 1891, n. 260 “Regolamento
generale degli stabilimenti carcerari e dei riformatori governativi”, il
Manicomio Criminale viene ridenominato Manicomio Giudiziario (MG), pur
rimanendo sostanzialmente invariato.1
Nel
1975, con la Legge n. 354 “Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla
esecuzione delle misure privative e limitative della liberta” (legge
Gozzini), il Manicomio Giudiziario (MG), viene ridenominato Ospedale
Psichiatrico Giudiziario (OPG), pur rimanendo sostanzialmente invariato
come principale istituzione per l’esecuzione delle misure di sicurezza.
Le riforme carcerarie del '75-'86 e quelle psichiatriche del '65-'78 hanno prodotto solo un cambiamento di definizione.
In
tutti questi anni, mentre l'OPG è rimasto cristallizzato nella sua
forma fascista, con la legge 180/1978 gli Ospedali Psichiatrici vengono
lentamente smantellati e sostituiti da una serie di istituzioni
(ospedali, case famiglia, comunità, ecc.) ed il ricovero coatto viene
regolamentato e ridefinito come Trattamento Sanitario Obbligatorio in
reparto psichiatrico.
Allo
stesso modo le carceri vengono formalmente coinvolte in un processo di
apertura, che paradossalmente conduce ad un allargamento della
popolazione carceraria tramite un più ampio e capillare sistema di
controllo esterno al carcere. Con la legge Gozzini le carceri si aprono
alla società e si instaurano una serie di misure alternative
all'internamento.
L'individualizzazione
della pena, voluta dalla Gozzini, ha fatto sviluppare nell'ambito
carcerario ipotesi sul soggetto criminale sempre più somiglianti alle
pratiche psichiatriche sui “malati di mente”; infatti i percorsi
rieducativi si confondono con quelli terapeutici e gli psicofarmaci si
diffondono massicciamente anche in carcere2.
Negli
anni '70-'80 una rivoluzione culturale antisegregazionista si afferma
sul piano legislativo, ma nella realtà rimangono inalterati il
pregiudizio di pericolosità sociale del malato mentale e lo stigma del
recluso.
Se
nel tempo l'attenzione politica e legislativa si è spostata dalla
malattia al malato, dalla pericolosità al disagio, e dalla punizione
alla rieducazione, nella società i corpi degli psichiatrizzati e dei
carcerati sono rimasti comunque esclusi e imprigionati.
Una
nuova tecnologia del controllo sociale si diffonde: l'industria
farmacologica sforna prodotti capaci, in alcuni casi, di sostituire le
camicie di forza, i letti di contenzione e le sbarre.
Qual è e qual è stato il fondamento di tutte queste istituzioni deputate all’esecuzione delle misure di sicurezza?
E’
ed è sempre stato l’internamento di una persona giudicata socialmente
pericolosa, cioè di una persona che potrebbe reiterare la stessa
condotta in futuro.
In altre parole, si priva della libertà un individuo per quello che si suppone sia e non per quello che effettivamente fa.
Tale
principio è un fondamento delle società autoritarie: non a caso è stato
il fascismo a introdurre le misure di sicurezza, tra le quali rientra
anche il confino.
LA SITUAZIONE OGGI
E' del 30 maggio 2014 la Legge n°81 che converte il decreto legge del 31 marzo 2014 n°52 recante
disposizioni in materia di superamento degli Opg (Ospedali Psichiatrici Giudiziari).
Il
decreto n° 52/2014 prevede la proroga dal 1° aprile 2014 al 31 marzo
2015 il termine per la chiusura degli OPG e la conseguente entrata in
funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza).
Attualmente
in Italia gli OPG presenti sono sei e si trovano ad Aversa, Napoli,
Barcellona Pozzo di Gotto, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia,
Castiglione delle Stiviere.
Ad oggi, in questi veri e propri manicomi criminali, ci sono rinchiuse circa 850 persone.
I
dati nel trimestre 1 giugno/1 settembre 2014 segnalano: n. 84 ingressi
contro n. 67 persone dimesse; quindi continuano nuovi ingressi,
nonostante si debbano privilegiare le misure alternative al ricovero in
OPG.
Come
si finisce in un OPG? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto
di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se
questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di
volere dell'imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto
pericoloso socialmente, lo si avvia a un Ospedale Psichiatrico
Giudiziario (articolo 88 c.p.) o in una struttura residenziale
psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla
pericolosità sociale.
Entrando
nello specifico, il Decreto prevede l’eliminazione del cosiddetto
ergastolo bianco, che consiste nell’indeterminatezza della durata
dell’internamento.
Nelle
future REMS la durata della misura di sicurezza non potrà essere
superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo
reato compiuto: ci preoccupiamo, pertanto, del fatto che le persone che
hanno già scontato in OPG tale pena non finiscano nelle REMS, ma vengano
liberati subito e senza condizioni.
Tuttavia
la legge prevede, al momento della dimissione dagli OPG, percorsi e
programmi terapeutico-riabilitativi individuali, predisposti dalle
regioni attraverso i dipartimenti e i servizi di salute mentale delle
proprie ASL.
Alla
fine di tale percorso, qualora venga riscontrata una persistente
pericolosità sociale, è comunque prevista la continuazione delle
esecuzione della misura di sicurezza nelle REMS.
Tradotto
significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito,
promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e
sentieri coercitivi, obbligatori, contenitivi3.
Come
ben ricorda Giorgio Antonucci, il manicomio non è una struttura, bensì
un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture sopra
riportata, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di
fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua
incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove
mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione.
L’intervento diventa così a priori manipolativo.
Nella
realtà, pertanto, è lo stesso obbligo a una perenne assistenza
psichiatrica territoriale a configurarsi come un vero e proprio
ergastolo bianco.
Noi
crediamo, invece, nel bisogno e nella costituzione di reti sociali
autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un
sostegno materiale, una casa senza compromessi di invalidità, nonché un
reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì
autonomamente dal soggetto.
Una
rete in grado di riesumare e coltivare quel legame unico,
antispecialistico e non orientato a una cura protocollare che, in nome
della scienza, non lascia spazio all’uomo.
Quel legame sciolto dal discorso capitalistico, demiurgo di consumatori in solitario godimento.
IN ALTRE PAROLE…
Chiudere
i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire
creare nuove strutture, forse più accoglienti, ma all’interno delle
quali finirebbero sempre rinchiuse
persone giudicate incapaci d’ intendere e volere.
La
questione, insomma, non può essere risolta con un tratto di penna, non è
sufficiente stabilire che quello che è stato non deve più essere, e
pensare che il problema si risolva da sé. È vero che per troppo tempo
gli Opg sono stati un territorio dimenticato in cui ogni dignità e
diritto sono annullatati ma ci sono da più di un secolo e mezzo e la
legge che gli regola è del 1904.
Per
abolire realmente gli OPG bisogna non riproporre i criteri e i modelli
di custodia ma occorre metter mano a una riforma degli articoli del
codice penale e di procedura penale che si riferiscono ai concetti di
pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non
imputabilità”, che determinano il percorso di invio agli Opg.
Viene
ribadito, oltretutto, il collegamento inaccettabile cura-custodia
riproponendo uno stigma manicomiale; dall’altro ci si collega a sistemi
di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri,
ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi.
La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente
sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia,
ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi
responsabilità penale del curante-custode.
La
questione non è solo la chiusura di questi posti: non si tratta solo di
chiudere una scatola, per aprirne tante altre più piccole. Il problema è
superare il modello di internamento, è non riproporre gli stessi
meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il problema non è se
sono grossi o piccoli, il problema è che cosa sono. Il manicomio non è
solo una questione di dove lo fai, se c’è l’idea della persona come
soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un
manicomio. Magari più bello, più pulito, ma la logica dominante sarà
sempre quella dell’esclusione e non dell’inclusione.
La
Legge 81/2014 con la misura di affidamento ai servizi sociali
costituisce un passo in avanti nella riduzione delle misure reclusive
totalizzanti, ma, mantenendo inalterato il concetto di pericolosità
sociale, non cambia l'essenza della modalità di risoluzione della
questione.
Nonostante
sia previsto un maggiore contatto dell'individuo con la società,
l'isolamento rimane all'interno dell'individuo attraverso trattamenti
psicofarmacologici debilitanti che conducono a fenomeni di
cronicizzazione.
Cambieranno
i luoghi di reclusione, in strutture meno fatiscenti e più
specializzate, ma allo stesso tempo ci sarà una gestione affidata al
privato sociale, andando così incontro a fenomeni di allungamento della
degenza per mantenere i finanziamenti, con una presa in carico vitalizia
ad opera dei servizi psichiatrici.
Questa
legge non soddisfa l'idea di un superamento di un sistema aberrante e
coercitivo, infatti permangono misure di contenzione svilenti per
l'individuo e trattamenti farmacologici troppo debilitanti e
depersonalizzanti per poter essere definiti positivi per la persona.
Uno
concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa
necessariamente da uno sviluppo di una cultura non segregazionista,
largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà di
solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai
metodi repressivi e omologanti della psichiatria.