CANAPISA 2010: LA DIVERSITÀ FA PAURA, LA NORMALITÀ UCCIDE!
In questi mesi abbiamo assistito ad una vera e propria negazione da parte del comune di Pisa dei diritti fondamentali quali il diritto a manifestare, il diritto alla casa e il diritto di godere di spazi sociali liberi. Il servilismo mediatico nei confronti di una politica arrogante e priva di contenuti non ha tardato a manifestarsi; campagne che attaccano e screditano chi lotta per soddisfare bisogni concreti e reali: chi occupa le case sfitte perché non riesce a pagare affitti troppo alti,strappandole alla speculazione edilizia oltre che all'abbandono e al degrado;chi apre alla città spazi portatori di istanze di socialità altra, avviando importanti progetti socioculturali, o come le occupazioni portate avanti dagli studenti universitari che, pur pagando le tasse, non possono usufruire degli spazi universitari per fare iniziative culturali, finalizzate alla creazione di saperi critici e alla loro socializzazione. Per le istituzioni tutto si risolve in un problema di ordine pubblico, in una questione di legalità e illegalità, per cui si buttano per strada otto famiglie, si sgomberano gli spazi sociali, si tenta di vietare manifestazioni. Non si trova da parte delle istituzioni uno spazio di discussione verso un tessuto sociale, culturale e politico vivo e partecipato.
Nessun impegno ad affrontare la crisi economica e la precarietà dei cittadini, nessun intervento per fermare i fenomeni speculativi in città, nessuno per permettere a collettivi e associazioni di proseguire il loro fondamentale lavoro. Le risposte si limitano alla violenza delle forze dell'ordine, all'acquisto di telecamere per la videosorveglianza. Il dibattito di quest'anno in merito al canapisa ne è un esempio lampante, poiché il comune voleva arrogarsi il potere di vietare la manifestazione, di negare il diritto a manifestare e ad esprimere le proprie idee.
Siamo qui oggi per ribadire l'importanza politica del canapisa e della lotta antiproibizionista, che invece di penalizzare a priori l'uso di sostanze, si occupa di fare informazione e riduzione del danno, di mettere in evidenza le contraddizioni del sistema normativo italiano che punisce di più un tossicodipendente che un evasore fiscale( la legge Fini-Giovanardi insieme alla Bossi-Fini è la causa principale del sovraffollamento delle nostre carceri)di difendere i tanti lavoratori che perdono il posto a causa dei nuovi controlli antidroga,che ben poco hanno di scientifico e molto di persecutorio.
In quanto collettivo antipsichiatrico sottolineiamo come proibizionismo e psichiatria rappresentino due facce della stessa medaglia, e come di conseguenza le lotte dei movimenti antipsichiatrico e antiproibizionista siano affini su vari punti: la rivendicazione della libertà di scegliere per se stessi ed il rifiuto di patologizzazione dei comportamenti all'interno di categorie stabilite da chi ha interesse a farlo. Nella nostra società,infatti, ogni pensiero critico e ogni comportamento differente e non conforme alle convenzioni sociali viene considerato elemento di disturbo e di pericolo, e trasformato in mostro immaginario: terrorista, drogato, violento, matto come un tempo vi erano la strega, l'eretico,il vagabondo,l'omosessuale. La stigmatizzazione e la medicalizzazione dei comportamenti “devianti” son funzionali alla volontà di controllo da parte del potere, poiché permettono di velocizzare il processo di osservazione, isolamento e normalizzazione dei nostri comportamenti. Sempre più si accentua la pericolosa tendenza a una vera e propria medicalizzazione di massa, che va a toccare fasi naturali della vita – dall'infanzia – con programmi di screening nelle scuole – alla vecchiaia, con particolare accanimento verso le donne(disturbo disforico premestruale, depressione post partum ecc..).
Al disagio che quotidianamente viviamo per motivi reali e concreti – la crisi economica, la precarietà, la mancanza di soddisfazione personale e di prospettive future, le condizioni e i ritmi di vita e di lavoro spesso disumani, -la psichiatria risponde sempre allo stesso modo, con diagnosi-etichette e cure farmacologiche che tendono a isolare l'individuo da una dimensione di socialità.
Esempio lampante di questo discorso è la doppia diagnosi inserita con la legge Fini-Giovanardi, che inquadra il consumatore di sostanze psicoattive come malato mentale da trattare con cure psichiatriche. In tal modo si è rinforzato il legame tra proibizionismo e psichiatria e si è trasformata la questione del consumo di sostanze da sociale a penale nonché sanitaria, per cui la gestione delle tossicodipendenze viene delegata all' istituzione psichiatrica, con grandi profitti per l'industria del farmaco e di quella del recupero e della riabilitazione. É un paradosso difficilmente spiegabile vietare da un lato l'uso di sostanze psicoattive classificate come illegali e dall'altro prescrivere sostanze psicoattive legali per curare le tossicodipendenze!La psichiatria, obbliga inoltre all'uso di psicofarmaci persone che non erano solite far uso di sostanze psicotrope, allargando il numero di consumatori e di dipendenti da tali sostanze.
Non è chiaro cosa oggi differenzi le sostanze legali da quelle illegali, dal momento che la stessa sostanza psicoattiva diviene un farmaco se prescritta da un medico e commercializzata in farmacia, così come il Ritalin (metanfetamina) un tempo assolutamente illecito e oggi usato come cura per bambini “affetti da ADHD” ( sindrome da deficit di attenzione e iperattività).
Nonostante lo stato proibizionista evidenzi continuamente i danni delle droghe, lo stesso non avviene con i “legali” psicofarmaci, che dovrebbero essere prescritti dietro consenso informato, ma di cui invece vengono sempre taciuti i gravi effetti collaterali, i fenomeni di dipendenza e di assuefazione ad essi correlati(del tutto simili a quelli causati dalle sostanze illegali classificate come droghe pesanti) ed i danni permanenti e gravissimi procurati da un uso prolungato.
La diffusione e l'abuso di queste “droghe legali”, è incentivato dalla macchina statale a scopo contenitivo, e spinta da forti interessi di mercato. Gli psicofarmaci rappresentano le “nuove camicie di forza”, ciò che ha insinuato la “manicomialità” nelle nostre case. A questo fine “gli invisibili strumenti di contenzione” (soprattutto benzodiazepine) sono giornalmente dispensati all'interno delle carceri e dei CIE: il loro uso diffuso, abituale e indiscriminato, è favorito dalla direzione per tenere a bada i detenuti attraverso il controllo chimico del loro umore, per lenire loro l'ansia da carcerazione e per fargli sopportare le gravi situazioni di degrado e sovraffollamento che sono costretti a subire. Così come il proibizionismo serve a mantenere e alimentare gli interessi del mercato nero, la psicofarmacologia serve a riempire le casse delle multinazionali farmaceutiche, le stesse che finanziano “ricerche” per definire sempre nuovi pseudo-disturbi psichiatrici, le stesse che costruiscono campagne pubblicitarie a sostegno della naturale diffusione delle affezioni nell'ottica di legittimare la conseguente panacea farmacologica.
Il business del farmaco induce così bisogni e consumi standardizzati, ricavando strepitosi guadagni e trasformando il concetto di salute in un bene di consumo ed il ministero della sanità in agenzia promozionale fautrice di propagande disinformative.
Siamo qui per contestare ancora una volta il perpetuarsi di tutte le pratiche psichiatriche, che operano una guerra quotidiana contro la libertà individuale.
Siamo qui per ribadire il nostro rifiuto all'idea di “normalità” come vincolo del “socialmente accettabile” e la catalogazione di chi fa spontaneamente uso di sostanze come “deviato”.
Siamo qui per smascherare l'interesse economico che si cela dietro l'invenzione di malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci.
Siamo qui per chiedere quale sia la reale differenza tra droghe e psicofarmaci, tra sostanze psicotrope legali e quelle illegali: legalità e illegalità, sono parole che abbiamo sentito nominare troppo spesso in questi giorni a Pisa, e che in questo caso, così come nelle questioni cittadine a cui abbiamo accennato hanno dei confini al quanto incerti e contraddittori.
Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud
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