BRESCIA: sabato 17/02 VOLANTINAGGIO ANTIPSICHIATRICO - CONTESTI DI CURA O LUOGHI DI TORTURA?
come ASSEMBLEA RETE ANTIPSICHIATRICA saremo a Brescia sabato 17 febbraio alle ore 16 in piazza della Vittoria alle ore 16 per un VOLANTINAGGIO ANTIPSICHIATRICO
CONTESTI DI CURA O LUOGHI DI TORTURA?
Questo testo affronta la violenza strutturale che regola la vita all’interno di moltissimi centri residenziali per persone con disabilità o fragilità psichica. Si parte dai maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, passando per gli abusi all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, per arrivare agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Una violenza capillare sostenuta quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”, tecnici dei servizi, operatori, assistenti ed educatori.
Presso
il Tribunale di Pisa si sta tenendo un processo
per i maltrattamenti avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia
gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. Una vicenda sepolta nel
silenzio che ha trovato nell’ultimo anno il supporto e il sostegno
del Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud. Il Consulente Tecnico
chiamato dalla procura a relazionare sui fatti ha scritto: “Leggendo
gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la
menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli
operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte
ignorata della direzione delle strutture”. Ed ancora: “In queste
situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la
sopraffazione divengono gli strumenti usati ogni giorno, e
l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per
divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo” facendo
riferimento a condotte “tipiche delle istituzioni totali”. Si
parla di maltrattamenti fisici, verbali e trattamenti degradanti
quotidiani. Spintoni, schiaffi, minacce e vessazioni costanti,
talmente palesi da lasciar presumere abusi anche peggiori. Una
violenza non episodica ma strutturale.
Delle
diciassette persone coinvolte, il processo attualmente vede ancora
imputati quindici tecnici e
operatori,
tra cui le due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore
Sanitario della Stella Maris. Un operatore ha patteggiato la pena,
mentre il Direttore generale Roberto Cutajar, che ha scelto il rito
abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, per essere infine
assolto nel processo d’appello. Tra gli ospiti della struttura
ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento in seguito al
blocco della glottide dovuto alla somministrazione prolungata ed
eccessiva di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano
comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la
famiglia non è mai stata informata. Il processo in primo grado si è
chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della
struttura.
Non
crediamo nella giustizia dei tribunali, sappiamo che nessuna sentenza
metterà fine o scalfirà questa violenza.
L’orrore
di Montalto di Fauglia lo ritroviamo nell’uccisione per contenzione
avvenuta la notte del 27 agosto 2012 all’interno della struttura
‘Casa Dolce’ di Casalecchio di Reno (in provincia di Bologna)
gestita dalla Cooperativa Sociale Dolce. Quella sera M., 20 anni,
vorrebbe continuare a giocare con la playstation ma le regole interne
alla struttura non lo consentono. Gli operatori si impongono. Il
giovane non cede. Si apre uno scontro di potere che M. perde pagando
con la vita. L’indagine del PM si concentra su tre operatori
sociosanitari della cooperativa, indagati per omicidio colposo.
Secondo l’autopsia M. è morto per asfissia meccanica,
soffocamento. Mentre due operatori lo tenevano un terzo gli si
sarebbe seduto sopra, all’altezza del torace. Il processo dura
quattro anni e si conclude per tutti con l’assoluzione ‘perché
il fatto non costituisce reato’. Viene sostenuta la legittimità
della contenzione, la correttezza delle manovre effettuate, la loro
corrispondenza ai “protocolli”. La rispettabilità pubblica della
Cooperativa Dolce, dei suoi dirigenti responsabili e di tutta la
struttura ne esce intaccata, mentre niente all’interno della stessa
viene messo in discussione.
La
testimonianza che abbiamo raccolto di un operatore a tempo
determinato assunto a ‘Casa Dolce’ qualche anno dopo l’uccisione
di M., racconta il protrarsi di un’attitudine alla violenza verbale
e al confronto fisico punitivo/violento da parte di molti operatori
della residenza, accettato pressoché da tutta la struttura come
‘normale amministrazione’.
Di recente una nuova indagine ha visto coinvolta ancora la Cooperativa Dolce per quanto riguarda un’altra struttura in provincia di Bologna (Budrio),’Villa Donini’. Si parla di botte e insulti ai danni di persone disabili, schiaffi in testa e umiliazioni. Dodici operatori socio sanitari dipendenti della cooperativa sono stati interdetti dalla professione per un anno con l’accusa di maltrattamenti. Nonostante l’enormità dei fatti, sul territorio intorno a questa vicenda regna un silenzio sovrano.
Anche
quanto emerso all’interno della comunità Shalom parla della stessa
violenza. Abusi sistematici, insulti, minacce, punizioni degradanti e
inumane, privazione del sonno, isolamento e crudeltà come metodo.
Una presunta Comunità terapeutica che non cura le persone: le
maltratta, le umilia, le sradica dalla propria umanità. Dove gli
‘educatori’ vengono spesso individuati tra le persone che in
precedenza hanno subito lo stesso
trattamento, selezionati senza alcun tipo di formazione per dare
continuità ai metodi repressivi, avvilenti e degradanti, pratiche
che ancora oggi caratterizzano la comunità. Negli anni più volte la
struttura è finita nel mirino per situazioni di tortura ben lontane
da episodi sporadici o accidentali. Un’ampia organizzazione che fa
mostra di sé per la presunta accoglienza incondizionata, ma che vive
di metodi distanti anni luce dall’offrire cura e sostegno a ragazzi
e ragazze che vivono periodi di fragilità. Al di là della bella
facciata che mostra all’ingresso, Shalom è disfacimento,
afflizione e miseria.
Sebbene
questa vicenda abbia avuto grande impatto a livello mediatico, il
sensazionalismo legato al
marketing
dell’informazione ha già pressochè rimosso quanto avvenuto e le
sue implicazioni. Non
accettiamo
la retorica della “comunità degli orrori” e della “mela
marcia”, la comunità Shalom è conosciuta e attiva da lungo tempo
nel bresciano e trattamenti inumani e degradanti come abbiamo visto
non sono stati affatto un’eccezione al suo interno, come del resto
in moltissime altre strutture.
Dopo
gli abusi che hanno visto coinvolta di recente la Cooperativa Dolce,
di nuovo a Bologna si parla di maltrattamenti sistematici all’interno
di una residenza psichiatrica: persone legate a terra con del nastro
isolante, utilizzo punitivo della così detta ‘camera morbida’ su
ospiti ritenuti particolarmente ‘problematici’, chiusi anche per
giorni, somministrazione di farmaci in dosaggi superiori rispetto a
quanto prescritto. Questa volta si tratta di una struttura
socio-assistenziale per persone con disagio psichico di Bazzano in
Valsamoggia, Villa Angelica, gestita dalla cooperativa Altius. A
seguito della denuncia di un ex dipendente la struttura è stata
chiusa e le persone trasferite in altre strutture. Sono state emesse
sei misure cautelari nei confronti della direttrice e di altri cinque
dipendenti, indagati a vario titolo per maltrattamenti e sequestro di
persona. La direttrice si trova attualmente ai domiciliari, i cinque
dipendenti della struttura hanno invece ricevuto un provvedimento di
divieto di avvicinamento alle persone offese.
Privato
accreditato, grandi cooperative, fondazioni; enti che muovono molti
soldi e che spesso esercitano anche una certa influenza nei
rispettivi territori: la Stella Maris ad esempio è considerata
un’eccellenza a livello nazionale, riceve abbondanti finanziamenti
e onorificenze dalla Regione Toscana, la Cooperativa Dolce è una
mega cooperativa che gode di ampio appoggio e gestisce moltissimi
servizi nel bolognese, la Shalom è sempre stata sostenuta da
personaggi di rilievo.
Questi
racconti mettono sotto gli occhi di tutti i dispositivi
coercitivi/degradanti insiti in questa tipologia di strutture, dove
le persone, ridotte ad oggetti, diventano il bersaglio di violenze e
sopraffazioni quotidiane.
Luoghi
dove la contenzione fisica e farmacologica è consuetudine e dove le
prepotenze sono ordinarie e strutturali.
Riteniamo
sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così
estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta
quotidianamente dal silenzio di moltissimi “professionisti”,
tecnici e operatori, assistenti ed educatori, ci piacerebbe partire
da qui, dall’omertà che sorregge questi abusi, che non sono
episodi, ma più spesso la prassi che regola queste strutture.
Assemblea
Rete
Antipsichiatrica
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