IL MITO DEL DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE E
IPERATTIVITA’
Oggi a scuola sono sempre di
più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche, in particolare disturbo
dell’adattamento, dell’attenzione, con iperattività, depressione, disturbo
bipolare.
Sono sempre esistiti bambini timidi, burloni, pagliacci, bulli, aggressivi,
timidi, e i cocchi della maestra; ed erano tutti considerati normali, senza che
nessuno sapesse veramente cosa aspettarsi da loro.
L’attuale tendenza dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi
coadiuvare dalla neuropsichiatria ogni qualvolta un bambino disturba o
contrasta con i programmi formativi. Il “disagio” comportamentale invece di
essere valutato come un campanello d’allarme nella relazione adulto-bambino,
viene incasellato come un problema mentale del bambino; dispensando così l’educatore
o l’insegnante dal modificare l’approccio educativo, e delegando il problema ad
un neuropsichiatra.
L’introduzione di nuove
patologie infantili nel Manuale Diagnostico e Statistico (DSM), allarga i confini diagnostici tra ciò che è
normale e ciò che non lo è, favorendo
l’entrata in psichiatria di un numero sempre più alto di bambini, a cui
verranno prescritti psicofarmaci per periodi più
o meno lunghi della loro vita. Quello che finora ci ha proposto la
psichiatria è la centralità degli “squilibri chimici” nel funzionamento del
cervello e ha cambiato il nostro schema di comprensione della mente mettendo in
discussione il concetto di libero arbitrio. Ma noi siamo davvero i nostri
neurotrasmettitori?
La diagnosi di ADHD
(deficit dell’attenzione e iperattività) raggruppa un insieme di comportamenti considerati inadeguati e anormali del
bambino, che possono essere causati da innumerevoli fattori, come: l’ansia per
la scuola o per le verifiche, impreparazione scolastica, una classe noiosa,
insegnamento inadeguato, problemi e conflitti a casa e a scuola, cattiva
alimentazione ed insonnia, o semplicemente far parte dell’infanzia. La diagnosi
di ADHD non mette in relazione lo stato mentale, l’umore ed i sentimenti del
bambino e non dà luogo ad una valutazione completa dei suoi bisogni reali per
migliorare l’educazione e la genitorialità. I bambini sono definiti affetti da
un “disturbo” che li rende meno capaci di assumersi le proprie responsabilità e
di gestire la propria vita.
Vengono loro prescritti
farmaci stimolanti, come il Ritanil, che inibiscono il comportamento spontaneo
e, se presi per lungo tempo possono
causare gravi danni cerebrali, dipendenza, astinenza e comportamenti aggressivi.
Gli psicofarmaci, oltre
ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona,
alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed
ideativi, contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generando
fenomeni di dipendenza ed assuefazione, del tutto pari -se non superiori- a
quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Presi per
lungo tempo possono portare a danni neurologici gravi che faranno del bambino
un disabile.
Questi bambini
miglioreranno se il farmaco viene sospeso e sostituito con la cura, la pazienza
e l’impegno consapevole degli adulti che fanno parte della loro vita a casa
così come a scuola.
Nonostante decenni di
ricerca non c’è alcuna evidenza che gli stimolanti abbiano un effetto positivo
sul comportamento, non ci sono prove che migliorino le prestazioni scolastiche
e il funzionamento psicologico e sociale; ma, anche nel caso in cui producessero risultati positivi dal punto di vista del
comportamento a scuola, sarebbero d’aiuto per il bambino?
A scuola, oggi, si mira
sempre di più ad un addestramento alla produttività, all’efficienza e alla
centralità del risultato. Insegnare, invece, è dare priorità alla relazione e
saper sperimentare approcci didattici e pedagogici a secondo della persona con
il quale ci si relaziona. Molti insegnanti sono stati convinti
dalla autorità dello psichiatria che il “bambino ADHD” ha bisogno di farmaci
stimolanti e hanno rinunciato alla ricerca di soluzioni in classe per risolvere
i problemi. Questi insegnanti hanno bisogno di essere incoraggiati a trovare
nuovi approcci nell’educazione dei bambini con la diagnosi di ADHD. Esistono
approcci relazionali e educativi per aiutare questi bambini piuttosto che sopprimere
la loro spontaneità, evitando di trattare i loro cervello in crescita con
sostanze altamente tossiche come gli stimolanti.
Invitiamo genitori, insegnanti
educatori e tutti coloro che hanno a che fare con i bambini a non cedere al
riduzionismo psichiatrico, a non psichiatrizzare ogni comportamento disturbante
e/o sofferente, affinché la fantasia, il senso critico e la libertà di scelta
continuino a caratterizzare l’infanzia. È compito degli adulti difendere le nuove generazioni e tornare a riflettere
sull’importanza dell’ambito sociale, comunitario e relazionale.