MORTO UN OPG SE NE FA UN ALTRO
Siamo una rete di
collettivi antipsichiatrici e singole persone da anni impegnate sul
territorio a contrastare il ruolo sempre più ingombrante che la
psichiatria si vede riconoscere all’interno della società, e i
meccanismi attraverso i quali si espande sempre più capillarmente e
trasversalmente al suo interno come strumento di controllo sociale.
Il 28 gennaio alle
10:00 saremo in presidio a Bologna davanti al carcere della Dozza per
portare il nostro calore e la nostra solidarietà alle detenutə, e
per contestare la così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale”
(ATSM) – sezione psichiatrica – presente a Bologna unicamente
all’interno del femminile. Nonostante infatti gli OPG (Ospedali
Psichiatrici Giudiziari) siano ufficialmente chiusi dal 2015,
all’interno delle carceri italiane continuano ad essere presenti
“repartini psichiatrici” per contenere e sedare quelle recluse e
quei reclusi che non si adattano al contesto carcerario, che
esprimono disagio, difficoltà emotive o squilibri durante la
detenzione.
Perché esistono
ancora sezioni psichiatriche in carcere se gli OPG sono stati chiusi?
Nel 2014 chiusi gli
Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) il Ministero della Giustizia
con una circolare del D.A.P. (Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria) ha istituito le A.T.S.M. (Articolazioni Tutela Salute
Mentale).
Bisogna sapere che la legge 81/2014 riserva agli
autori di reato dichiarati “incapaci di intendere e di volere per
infermità mentale” – definiti “folli rei” – un iter
giudiziario diverso da quello destinato ai comuni, che prevede le
Residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza
(Rems), istituite, appunto, dopo la chiusura degli OPG. In questo
iter giudiziario la pericolosità sociale di derivazione manicomiale
la fa ancora da padrona, ma non tutti però finiscono nelle Rems.
Nello specifico le Articolazioni Tutela Salute Mentale sono sezioni
istituite nelle carceri per quelle detenute e quei detenuti con una
valutazione psichiatrica sopravvenuta alla detenzione, quindi
successiva al giudizio – definiti “rei folli” – e che non
possono perciò accedere alle Rems, che prevedono inoltre già di per
sé lunghe lista di attesa.
Cambiano le
parole ma non la sostanza, morto un OPG se ne fa un altro
Le Articolazioni
Tutela Salute Mentale sono luoghi di annichilimento della personalità
che esasperano la sofferenza della detenzione con l’isolamento
prolungato, la contenzione psicologica, fisica e farmacologica. Si
tratta di strutture che non solo non hanno nulla di “terapeutico”
ma che nascono proprio per la necessità dell’istituzione
penitenziaria di contenere e sedare le intemperanze dei ristretti in
relazione al contesto detentivo. Voragini su cui non vogliamo siano
spenti i riflettori.
Direzione e medici all’interno delle ATSM
possono mettere in atto proroghe in modo estremamente violento e
discrezionale (30 giorni prorogabili che possono tradursi in mesi di
isolamento), questo nonostante sulla carta, a seguito della sentenza
99/2019 della Consulta, sia prevista la possibilità che il giudice
possa disporre che, la persona che durante la detenzione manifesti
una “grave malattia di tipo psichico”, venga curata fuori dal
carcere e quindi concederle, anche quando la pena residua sia
superiore a 4 anni, la misura alternativa della detenzione
“umanitaria” o in “deroga”, come già previsto per le persone
detenute con gravi malattie fisiche.
Il
carcere-manicomio
L’ambiente
carcerario può essere terribilmente nocivo per coloro che sono
sfornitə di strumenti adeguati. Le difficoltà evidenti di una vita
“libera” fatta di precarietà, impoverimento di beni materiali,
reti sociali e di conseguenza di qualità del vivere, depauperano
anche quelle risorse soggettive utili ad affrontare l’impatto con
una quotidianità come quella carceraria. Gli addetti ai lavori
denominano con “sindrome da prigionizzazione” le profonde
difficoltà, l’alienazione e la sofferenza che la detenzione può
comportare. La solitudine, la fatiscenza strutturale degli ambienti,
gli spazi freddi e ristretti, l’alto numero di reclusə,
l’insalubrità del cibo, l’assenza di acqua e docce adeguate, gli
psicofarmaci a profusione e, se va bene, la tachipirina per ogni
esigenza, l’impossibilità ad accedere a prevenzione, visite
specialistiche, nonché a seguire i propri percorsi terapeutici,
esasperano la reclusione causando fragilità, menomazioni e patologie
che spesso dal carcere si protraggono anche dopo la scarcerazione.
Condizioni dove l’eccezione non è tanto la ‘malasanità’ ma
trovare medici non conniventi con le guardie. Il non rispetto del
principio di territorialità inoltre rende ancora più dura
l’esperienza della detenzione.
Una quotidianità carceraria che
oltre ad essere priva di dignità umana è, post pandemia e post
rivolte, sempre più soggetta a soprusi di ogni tipo: dalla
potenziata discrezionalità di ogni singola Direzione carceraria e
Sanitaria, all’abuso di potere delle guardie penitenziarie. Senza
considerare che il timore dei contagi e delle conseguenti politiche
di gestione da parte delle Direzioni continua a rappresentare una
fonte di ansia per chi è reclusə, oltre che uno strumento di
vessazione e ricatto. Non adattarsi può tradursi in chiusura in sé
stessi nel tentativo estremo di individuare una via di fuga. Come
“fughe”, in fondo, sono spesso i numerosi suicidi e i moltissimi
gesti autolesivi che ogni giorno si susseguono nelle patrie galere.
Nel 2022 sono state 84 le persone detenute che hanno scelto il
suicidio e chissà quante l’hanno tentato. E questi sono i numeri
ufficiali, spesso in difetto. Numeri che si uniscono ai segni
indelebili lasciati dalle torture fisiche e psichiche, nonchè dai
processi, seguiti alle rivolte del marzo 2020, rivolte soppresse con
la morte di almeno 14 detenuti (quelli di cui si hanno riscontri
ufficiali) e con le violentissime mattanze che non possiamo nè
vogliamo dimenticare, un grido rimasto inascoltato. Le disposizioni
decise dall’amministrazione penitenziaria per “arginare” il
pericolo dei contagi si tradussero nel 2020 nel totale isolamento
delle persone detenute dal resto del mondo. Una quotidianità
rinchiusa nelle celle, sempre però sovraffollate, poiché tutte le
attività furono sospese. Niente colloqui con i familiari, impediti
gli ingressi a qualsiasi operatore esterno. I criteri che
caratterizzano il regime del 41bis furono estesi, di fatto, a tutte
le sezioni presenti nelle carceri, così come la stessa norma prevede
qualora lo Stato lo ritenga opportuno. In piena emergenza sanitaria,
infatti, si decise di sottoporre interi reparti a molte delle rigide
regole previste per questo regime piuttosto che adottare soluzioni
volte alla riduzione del sovraffollamento e quindi ai rischi di
contagio, sull’onda del più bieco e cinico giustizialismo che da
anni caratterizza le politiche dei governanti di questo paese. In
questi mesi il 41bis, regime di totale isolamento e di deprivazione
sensoriale, da sempre presentato dalla Direzione Nazionale Antimafia
e Antiterrorismo (DNAA) e dai maggiori organi di informazione come lo
“strumento più efficace nella lotta alla mafia”, ha rivelato la
sua vera essenza: una tortura normata. E ciò è stato possibile
grazie alla drammatica scelta del compagno Alfredo Cospito che ha
definito la quotidianità all’interno di quelle sezioni “una
tomba per vivi” ed ha intrapreso, dal 20 ottobre 2022, uno
sciopero della fame ad oltranza contro il 41bis e l’ergastolo
ostativo, due “abomini del sistema penitenziario”.
Per noi non si
tratta di costruire altre sezioni o “repartini”, ma di svuotare
quelli già esistenti
Quelli che parlano
solo di sovraffollamento nelle prigioni sono gli stessi che le hanno
riempite con le loro leggi razziste e liberticide: oltre il 35% della
popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle
droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze
o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si
cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia
del tanto declamato “recupero sociale”). Questo grazie a leggi
come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla
sicurezza volute da Minniti e Salvini. Politiche repressive il cui
bersaglio non è certo il grande narcotraffico – un giro
miliardario che allo Stato e alle sue mafie fa evidentemente comodo
così – ma, come sempre, chi non ha documenti, mezzi di
sostentamento, reti sociali o non è spendibile in termini di
profitto. Una caccia alle streghe che conferma la funzione primaria
del carcere come strumento di governo e gestione delle diseguaglianze
e del conflitto sociale, volto al mantenimento dell’ordine attuale,
fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità
affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza
soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza
delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là.
Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo
un’infinitesimale parte della violenza statale viene duramente
repressə, come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.
Bologna: il
repartino psichiatrico femminile con la sezione “nido” accanto
A Bologna
l’Articolazione Tutela Salute Mentale prevede cinque posti e
coinvolge unicamente il femminile. La collocazione isolata degli
ambienti e il numero esiguo delle recluse previste conferma gli
aspetti di segregazione che caratterizzano la sezione. Ad oggi
nonostante diverse pressioni per la chiusura dell’articolazione non
solo questa è ancora aperta ma addirittura millantata sui giornali
come esempio “pragmatico” da seguire ed estendere.
Nel
2020/2021 lavori di ristrutturazione ne avevano comportato la
chiusura provvisoria, quindi il trasferimento delle detenute presenti
in quel momento in “articolazioni analoghe fuori regione”. Tra
queste vogliamo ricordare Isabella P., 37 anni, accusata di furto,
estorsione e minaccia a pubblico ufficiale, morta il 15 febbraio 2021
nel carcere femminile di Pozzuoli a causa delle massicce dosi di
psicofarmaci somministratele e dei trattamenti ricevuti. Sarebbe
dovuta uscire nel 2026, era alla sua settima carcerazione. Era
considerata una detenuta difficile. A 18 anni aveva subito il suo
primo Trattamento Sanitario Obbligatorio.
Gli stessi lavori di
ristrutturazione che hanno visto trasferire Isabella hanno portato
all’inaugurazione, a luglio 2021, della nuova “sezione nido”,
tre celle adiacenti all’articolazione salute mentale per detenute
madri con bambini fino a tre anni. Il Garante dei detenuti ha
dichiarato di sentirsi “preoccupato” per l’apertura di questa
sezione accanto ai locali dell’articolazione psichiatrica, dai
quali, giorno e notte, uscirebbero “grida e lamenti”. Purtroppo
nonostante la legge 62 del 2011 indichi in questi casi di favorire
gli arresti domiciliari e /o la creazione di case famiglia protette,
ad oggi rimane assente un concreto interessamento per il superamento
anche di questi istituti.
Per questo
invitiamo tuttə sabato 28 gennaio a Bologna e a Imola, per una
giornata di lotta antipsichiatrica, approfondimento e scambio.
Assemblea
antipsichiatrica
SABATO 28 GENNAIO
GIORNATA ANTIPSICHIATRICA
Bologna
Alle 10:00 presidio
a Bologna davanti al carcere della Dozza per portare il nostro calore
e la nostra solidarietà alle detenutə, e per contestare la così
detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (ATSM) – sezione
psichiatrica presente a Bologna unicamente all’interno del
femminile – oltre che la recente sezione “nido”, istituita
accanto.
Imola
(Spazio
autogestito Brigata Prociona)*
Alle 13:30 pranzo a
cura del Vascello Vegano a sostegno della biblioteca antipsichiatrica
del Collettivo Strappi
Alle 18:00
presentazione del libro “Divieto di Infanzia. Psichiatria,
controllo e profitto”.“Attualmente a scuola sono sempre di
più i bambini che hanno diagnosi psichiatriche. L’attuale tendenza
dell’insegnamento e della pedagogia è quella di farsi coadiuvare
dalla neuropsichiatria ogni qualvolta una bambina o bambino disturba
o contrasta i programmi formativi.” Ne parliamo con gli autori
Chiara Gazzola e Sebastiano Ortu.
Alle 20:00 cena
benefit per la nuova Cassa di solidarietà e mutuo soccorso
antipsichiatrica
Alle 21:30 “The
Jackson Pollock” live, duo Garage Punk dal sound esplosivo!
* Per raggiungere il
Brigata in via Riccione 4 a Imola : dalla stazione uscire sul retro
(lato via Serraglio) svoltare alla prima a sinistra (via Cesena)
dopodichè la prima a destra è via Riccione.