Apprendiamo
dal quotidiano Il Tirreno che un infermiere del reparto di
psichiatria dell’ospedale Santa Chiara di Pisa sarebbe stato
condannato ad un anno per aver preso a botte una paziente nel gennaio
2017.
https://www.iltirreno.it/pisa/cronaca/2023/03/11/news/pisa-botte-a-una-paziente-psichiatrica-infermiere-condannato-a-un-anno-1.100258550
Addirittura
nell’articolo, uscito in data 11 marzo 2023, si riporta la presunta
diagnosi psichiatrica fatta in adolescenza alla signora etichettata
come una persona disturbata, agitata e aggressiva.
Fra
le motivazioni della condanna all’infermiere
ci sono abuso
di mezzi di correzione per aver
picchiato la paziente; si
legge: “Prima
gli schiaffi in faccia, poi un calcio all’addome con tanto di
capelli tirati in un corpo a corpo”.
Dall’articolo si apprende anche che la donna era stata legata su
una poltrona con una cinghia.
Sia
l’infermiere sia l’azienda ospedaliera in sede processuale si
sono giustificati dicendo che la donna era aggressiva.
Dal
racconto della vittima : “Quando intervennero le infermiere ero a
terra con l’infermiere che mi teneva per i capelli e loro sono
sopraggiunte e gli dicevano “basta, basta”. Lui mi prese per i
capelli e iniziò a strattonarmi, mi fece cadere a terra tenendomi
sempre per i capelli e cominciò a darmi degli schiaffi molto
forti...Era
molto agitato, era in uno stato molto aggressivo e mi ha dato anche
un calcio nello stomaco».
”
Vogliamo
ricordare che quando si
svolge un lavoro
di cura non si
dovrebbe perdere
la pazienza, né
soprattutto esercitare violenza verso
le persone con cui lavori. Ci
è difficile credere alla
teoria delle mele marce, sappiamo che
le prassi psichiatriche sono spesso coercitive piuttosto che rivolte
all’ascolto della persona
e
il ricorso a dispositivi manicomiali (obbligo di cura, contenzione
fisica, meccanica e chimica)
è purtroppo sempre più diffuso.
Ad
oggi in
Italia
abbiamo 329
reparti psichiatrici, gli SPDC (Servizio Psichiatrico Diagnosi e
Cura) e circa
3200 strutture psichiatriche residenziali e centri diurni sul
territorio dove in molti casi si sono conservati gli strumenti propri
dei manicomi, quali il controllo del tempo, dei soldi, l’obbligo
delle cure, il ricorso alla contenzione e
l’elettroshock.
Ci
teniamo a ribadire che nonostante le vesti moderne l’elettroshock
rimane una terapia invasiva, una violenza, un attacco all'integrità
psicologica e culturale di chi lo subisce. Insieme ad altre pratiche
psichiatriche come il TSO (Trattamento
Sanitario Obbligatorio),
l’elettroshock è un esempio, se non l’icona, della coercizione e
dell’arbitrio esercitato dalla psichiatria. Il percorso di
superamento dell’elettroshock e di tutte le pratiche non
terapeutiche (obbligo di cura, contenzione meccanica e farmacologica,
internamento) deve essere portato avanti e difeso in tutti i servizi
psichiatrici, in tutti i luoghi e gli spazi di cultura e formazione
dove il soggetto principale è una persona, che insieme ai suoi cari,
soffre una fragilità. Nei
reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione
meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza
terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e
fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e
compromette gravemente la relazione terapeutica. Ribadiamo la
necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione
meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie
italiane.
Un
altro inganno del sistema psichiatrico sta
nel credere che un Trattamento Sanitario Obbligatorio duri in fondo
solo sette giorni, o quattordici nel caso peggiore. La verità è che
il TSO
implica una coatta presa in carico della persona da parte dei Servizi
di salute mentale del territorio che può durare per decenni. Una
volta entrato in questo meccanismo infernale, una volta bollato con
l’infamia della malattia mentale, il paziente vi rimane invischiato
a vita, costretto a continue visite psichiatriche e soprattutto, a
trattamenti con farmaci obbligatori pena un nuovo ricovero. Per i
ricoverati in TSO e considerati “agitati” si ricorre ancora
all’isolamento
e alla contenzione fisica, mentre i cocktails di farmaci
somministrati mirano ad annullare la coscienza di sé della persona,
a renderla docile ai ritmi e alle regole ospedaliere. Il grado di
spersonalizzazione ed alienazione che si può raggiungere durante una
settimana di TSO ha pochi eguali, anche per il bombardamento chimico
a cui si è sottoposti. Ecco come l’obbligo di cura oggi non
significhi più necessariamente la reclusione in una struttura, ma si
trasformi nell’impossibilità di modificare o sospendere il
trattamento psichiatrico sotto costante minaccia di ricorso al
ricovero coatto sfruttato come strumento di ricatto e repressione.
Continueremo
a lottare con forza contro ogni forma
di manicomio
e di
coercizione
(obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso
dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e
ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni
pratica lesiva della libertà personale. Uno
concreto percorso di superamento delle pratiche
psichiatriche passa
necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante,
senza pregiudizi e non segregazionista,
largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di
solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti
ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud
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Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100
Pisa
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