Come collettivo impegnato nella critica al potere
psichiatrico siamo solidali con tutte le donne e tutte le soggettività non
conformi che scelgono di scendere in piazza con Non Una di Meno per dire basta
al ricatto della violenza domestica, istituzionale, economica, mediatica e
giuridica.
Oggi ci sentiamo particolarmente vicini a tutte le numerose soggettività
femminili le cui storie hanno attraversato la nostra esperienza politica e
umana con i loro racconti di dolore e umiliazione. Storie, come quelle di
Antonia Bernardini e Elena Casetto. Antonia Bernardini è morta il 31 dicembre
del 1974, dopo giorni di agonia, a causa di ustioni riportate da un incendio da
lei stessa provocato. Era legata al letto da 43 giorni, nel manicomio
giudiziario femminile di Pozzuoli. Elena Casetto è morta arsa viva nel letto al
quale è tenuta legata il 13 agosto 2019 nel reparto psichiatrico dell'ospedale
Papa Giovanni XIII di Bergamo, durante un incendio. La contenzione non le ha
permesso di fuggire.
Storie capaci di mostrare il vero volto del potere
psichiatrico come violenza istituzionalizzata. Storie, inoltre, capaci di
mostrare l'alleanza tra potere medico e potere patriarcale. Come la storia di
Charlotte Perkins Gilman, costretta nel 1887 a una cura di sei settimane legata
a letto in una stanza buia, alimentata a forza, e privata di ogni socialità e
stimoli intellettuali. La "malattia" veniva individuata
nell'esaurimento e nell'apatia associata alla maternità, ai lavori domestici e
al rapporto col proprio marito. Sintomi, a dire dello psichiatra, esacerbati
dal desiderio di approcciarsi alla vita intellettuale al di fuori delle
mansioni domestiche previste dal proprio ruolo.
Se dai manicomi vittoriani, in cui le donne venivano internate per non aver
aspettato il proprio turno per prendere parola o per non incarnare il ruolo di una
femminilità docile e casalinga, ci spostiamo agli spazi più asettici dei
reparti psichiatrici odierni la situazione non cambia di molto. Secondo lo
studio *Genere e salute mentale della donna* dell'Organizzazione Mondiale della
Sanità, non ci sono differenze legate al genere nell'incidenza di patologie
psichiatriche gravi, ma ci sono evidenti differenze nell'incidenza dei
"disturbi" più diffusi: depressione, ansia e disturbi somatoformi.
Questi disturbi, in cui le donne predominano, colpiscono approssimativamente 1
persona su 3. Da sola la depressione unipolare costituisce una delle maggiori
cause di disabilità nel mondo, ed è il doppio più frequente nelle donne che
negli uomini.
Oggi come ieri le storie di queste soggettività femminili ci raccontano di una
psichiatria impegnata a produrre discorsi, tecnologie e politiche atte a
medicalizzare il dolore e a disciplinare il desiderio femminile. La ricerca di
basi ormonali e genetiche dietro l'ondata di disturbi dell'umore femminili è
solo l'ultima versione della teoria dell'"utero mobile" e delle molte
che si sono succedute nell'individuare nel corpo femminile un corpo
biologicamente inferiore e animato da umori ingovernabili, capaci di offuscare
la ragione. Teorie a cui rispondono dati come l'alto tasso di incidenza della
violenza sulle donne, che le rende il gruppo sociale col più alto rischio di
sviluppo di disturbo post-traumatico e di tentativo di suicidio.
Crediamo infatti che la via d'uscita da una società della depressione diffusa
non possa essere puramente farmacologica, ma debba passare attraverso la
costruzione di una società più inclusiva. Dobbiamo criticare la psichiatra come
meccanismo del potere che ci vuole assoggettati all'identità, che usa la
diagnosi come strumento per definire l'altro rispetto alla società e impone,
con la violenza dei trattamenti, un'ideale di conformità alla norma. La nostra
risposta è la valorizzazione delle differenze di genere, l'emancipazione
delle donne nel mondo attraverso la formazione intellettuale, cognitiva ed
emotiva, come quella professionale, sono per noi gli strumenti attraverso cui
liberarsi del dolore che limita l'autonomia femminili.
"La maggior parte delle donne del ventesimo secolo etichettate
psichiatricamente, curate privatamente e ospedalizzate pubblicamente non sono
matte... Possono essere profondamente infelici, autodistruttive, economicamente
e sessualmente impotenti ma essendo donne non potrebbe essere altrimenti" Phyllis Chesler, Women and madness, 1972
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud