Articolo/Recensione "SCEMI di GUERRA" di Chiara Gazzola su Arivista di giugno 2017
SCEMI DI GUERRA
Il Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa, dopo
una preziosa pubblicazione edita da “Sensibili alle foglie” sulla storia
dell'elettroshock – ora riammesso a pieno titolo nei protocolli medici sotto le
mentite spoglie di TEC (terapia elettroconvulsivante) –, con questo opuscolo
autoprodotto aggiunge un altro tassello sulle implicazioni di questo metodo di
tortura. Il contesto analizzato è quello bellico, con uno sguardo
particolareggiato alla I guerra mondiale. La ricerca è firmata da Marco Rossi
che ribadisce “la complice amicizia con il Collettivo pisano e il gruppo
Kronstadt di Volterra”: quest'ultima città ospitò infatti, qualche mese fa, un
dibattito pubblico su questo tema. L'opuscolo, sintetico quanto estremamente
documentato, ha per titolo Correnti di guerra – Psichiatria militare e
faradizzazione durante la Prima guerra mondiale. Le tecniche utilizzate per
la faradizzazione servirono ad affinare gli strumenti, ideati più tardi, per la
TEC: la dolorosa scarica elettrica veniva applicata in varie parti del corpo,
scroto compreso: “già sperimentata a scopo medico nel Settecento, durante il
Primo Conflitto divenne quindi una pratica – anche se poco conosciuta –
asservita alla logica militare e anticipò quanto sarebbe avvenuto,
sistematicamente, durante la Seconda guerra mondiale” specifica l'autore, oltre
a spiegare efficacemente le motivazioni che soggiaciono al connubio fra
l'apparato psichiatrico e quello militare. Nel 1915, 170 psichiatri di
comprovata esperienza manicomiale furono inseriti nell'organico militare, sotto
la guida di A. Tamburini presidente della Società italiana di freniatria ed ex
direttore del S. Lazzaro di Reggio Emilia, uno fra i più grandi ed efficienti
manicomi europei. É risaputo quanto questa guerra sia stata particolarmente
cruenta; le conseguenze in termini di povertà, morte, invalidità, traumi
fisiologici e psicologici fecero maturare – nell'esercito e nella società –
forme di riluttanza all'asservimento delle politiche statali: evidentemente gli
apparati di potere le giudicarono eccessive, sorse così l'esigenza strategica
di un rimedio pertinente agli obiettivi bellici. I reparti manicomiali dedicati
ai disertori (molto noto quello del S. Maria di Pietà di Roma) furono giudicati
insufficienti; l'istituzione militare preferì occuparsi direttamente degli
“scemi di guerra”, potendo così garantire agli ufficiali un trattamento
privilegiato. Si mise in atto una vera e propria “profilassi morale per
bonificare le truppe dagli elementi inaffidabili, secondo una morale più
patriottica che deontologica”; ciò significa che “l'obiettivo primario divenne
quello di recuperare i soggetti critici per il fronte, come carne da
cannone, nonché scoprire e deferire i frodatori alla giustizia militare” ben
sottolinea M. Rossi a pag. 12 e 13.
La guerra non avrebbe mai dovuto essere percepita come causa
di sofferenza psicologica o di insofferenza sociale: ecco perché l'ideologia
dominante trovò negli assunti positivisti il miglior alleato. Cesare Lombroso
dedicò studi e attività professionale alla determinazione di presunte tare
ereditarie e congenite – rese palesi ad esempio dalla morfologia del cranio –
di soggetti potenzialmente criminali poiché dimostravano forme di
asocialità. Questi insegnamenti fornirono l'eccellente opportunità per poter
affermare che soltanto la degenerazione mentale e morbosa potesse indurre al
rifiuto del servizio patriottico. Si enumerarono sintomatologie e diagnosi
fantasiose fra le quali ricorrono la debolezza nervosa, la predisposizione
organica, l'immoralità costituzionale, la gracilità intellettuale, l'ectopia
testicolare, la simulazione, la scarsa volontà o il rifiuto al sacrificio, ma
anche infermità mentali rese manifeste dalla pederastia o dalle
scelte libertarie e antimilitariste tradotte nei termini di pazzia
ragionante. Allo scopo di ostacolare queste aberrazioni, si
individuò nella somministrazione di scosse elettriche il metodo principe di
persuasione e punizione: scoprire i bugiardi, ma soprattutto ricollocare nelle
trincee un'abbondante carne da macello indispensabile alla guerra.
I militari italiani sottoposti a trattamenti psichiatrici
furono circa 40000, “secondo le cifre ufficiali ma probabilmente sottostimate”,
afferma l'autore che poi aggiunge: “resta invece da accertare il numero, non
meno rilevante, delle donne internate in manicomio a causa di disturbi psichici
determinati, più o meno direttamente, dal contesto bellico”. Nonostante vi
siano documenti che riconducano alle condizioni di vita in trincea la causa di
malesseri psichici, la propaganda ideologica scelse di ribadire il concetto non
dipendente da cause di guerra: fecero eccezione soltanto i traumi cerebrali
provocati direttamente dalle esplosioni. Anche in questo caso le diagnosi
psichiatriche si avvalsero di un ribaltamento fra causa ed effetto nel
tentativo, ancor oggi non dimostrato, di individuare la causa organica delle
cosiddette malattie mentali. Il determinismo scientifico di derivazione lombrosiana,
dalla guerra in Vietnam a oggi, certifica con la diagnosi di PTSD (Post
Traumatic Stress Disturb) molte delle sofferenze dovute agli scenari bellici o
alle calamità naturali, così da poter curare testimoni e vittime
sottoponendole a TEC o a sedazione chimica.
In perfetta continuità con l'analisi storica di M. Rossi,
completata dal confronto delle tecniche di faradizzazione utilizzate in altri
Paesi europei e da dati territoriali specifici come quelli individuati presso
il frenocomio di San Girolamo di Volterra, risulta evidente quanto la maggior
parte delle diagnosi psichiatriche – soprattutto quelle inserite nel DSM, il
manuale delle malattie mentali redatto negli USA – svelino la corruzione del
linguaggio scientifico, ogni volta che offre la propria complicità alla
pianificazione del controllo sociale.
Chiara Gazzola