LA
VOCE DEL PADRONE
"Assolti"
i dirigenti al processo sui maltrattamenti alla Stella Maris
Il
processo di primo grado per i maltrattamenti nei confronti degli
ospiti della struttura per persone con disabilità di Montalto di
Fauglia, gestita dalla fondazione Stella Maris in provincia di Pisa,
si è concluso, dopo 7 anni di dibattimento, il 4 novembre scorso con
10 condanne agli operatori e alle operatrici e 5 assoluzioni. Due
operatori sono stati assolti. Assolti anche il direttore sanitario e
le due dottoresse responsabili della struttura.
Hanno
vinto i potenti.
Il
dispositivo applica quasi appieno la tesi che la Stella Maris aveva
caldeggiato sin dall'inizio. La giudice Messina ha condannato
penalmente solo gli esecutori materiali delle violenze, ed
evidentemente non poteva farne a meno: le immagini degli abusi e dei
maltrattamenti erano e restano inequivocabili. L'assoluzione dei
dirigenti medici, figure apicali, vorrebbe rappresentare un segnale
chiaro: i piani alti non si toccano.
Ma,
d'altro lato, alla Stella Maris è stata riconosciuta una
responsabilità civile da quantificare in un futuro processo civile,
qualora lo decideranno le famiglie.
E,
si badi bene, non è poco.
Innanzitutto
perché per molti mesi si è rischiato che tutto rimanesse
impantanato sino all'arrivo della prescrizione, tanto era stata lenta
e rallentata all'inizio la successione delle udienze. Poi perché,
almeno in primo grado, una qualche forma di responsabilità, anche se
solo civile, è stata comunque riconosciuta alla Stella Maris. Alla
Fondazione spetta cioè il pagamento delle spese processuali, anche
di quelle spettanti agli operatori condannati qualora non fossero in
grado di sopperire autonomamente. Una parte di coinvolgimento anche
per l'istituzione Stella Maris risulta dunque stabilita dai
meccanismi della sentenza. Il "noi non c'entriamo nulla"
che trapela dal conciliante comunicato del presidente della
Fondazione (che si conclude con uno goffo appello al «Bene» con la
"B" maiuscola) andrebbe perlomeno riconsiderato in questa
prospettiva. Rimane lì a testimoniare solamente un malcelato
imbarazzo nei confronti di una vicenda che ha gettato non poco
discredito sulla sbandierata "eccellenza" dell'"Istituto
di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico".
Rimane
il fatto che la sentenza non soddisfa la richiesta di giustizia che
le famiglie si sarebbero aspettate dopo anni di attesa. La tesi del
pubblico ministero, che assegnava alle dottoresse la responsabilità
maggiore per le violenze perpetrate all'interno della struttura, è
stata di fatto ribaltata.
Colpevole
non è chi aveva assunto personale non qualificato, chi aveva la
gestione della struttura, chi doveva vigilare. Colpevole è, ancora
una volta, solo la manovalanza, chi si è sporcato le mani in prima
linea. Rimangono impuniti i responsabili delle assunzioni. È andato
assolto chi doveva occuparsi della formazione del personale. È stata
considerata non colpevole penalmente tutta la filiera della gestione
e dell'organizzazione che avrebbe dovuto occuparsi della presa in
carico e della cura dei ragazzi con disabilità, su su fino alle
rappresentanze più alte.
Il
primo a uscire di scena è stato il direttore generale Roberto
Cutajar: dapprima condannato a due anni e otto mesi, poi assolto in
appello con la motivazione che "le responsabilità della
gestione e delle assunzioni andavano ricercate altrove", con il
cavillo che lui era il responsabile dell'intera Stella Maris e non
solo del presidio di Montalto. Le responsabili effettive della sede
Stella Maris di Montalto sono state in seguito individuate nelle due
dottoresse. Ma anch'esse alla fine sono risultate non condannabili.
Siamo curiosi di conoscere quali argomentazioni saranno addotte nella
motivazione della sentenza.
Perché
rimane al momento inevasa una domanda cruciale: ma allora chi gestiva
Montalto? Chi ne presiedeva l’organizzazione, la gestione, il
controllo?
Un
sottile velo di omertà ha coperto sin dall'inizio le vicende di un
processo di per sé clamoroso e che avrebbe dovuto avere una ribalta
nazionale. Si è trattato del più grande processo per maltrattamenti
a persone con disabilità nella storia d'Italia. Eppure le telecamere
sono state tagliate fuori sin dalla prima udienza. Con la motivazione
che, secondo la giudice, non sussisteva alcuna rilevanza sociale per
un evento di questa portata: 24 famiglie, 17 imputati, 284 episodi di
violenza registrati dalle impietose microcamere (posizionate
esclusivamente negli spazi comuni) in tre mesi. E per finire, la
stessa giudice ha pensato bene di emettere la sentenza a porte
chiuse. Erano presenti solamente alcune famiglie. Come se per i 7
lunghi anni della durata del processo l'aula fosse stata assediata da
orde di parenti scomposti e irrispettosi. Eppure, mai un urlo di
sdegno, mai un commento sopra le righe si è levato nell'aula.
Non
davanti alle immagini delle sevizie sui
propri cari, quando qualche genitore ha preferito uscire dall'aula
piuttosto che inveire.
Non
di fronte alle testimonianze di chi con arroganza parlava di
"buffetti di simpatia", "linguaggio colorito",
"strumenti inadeguati di relazione" da parte degli
operatori.
Neanche
di fronte a un consulente di parte che si permetteva impunemente di
affermare che "quelle persone non sono neanche in grado di
provare dolore".
E
neppure quando, come se fosse una cosa normale, è venuta a galla
l'aberrazione dei "tappeti contenitivi", comprati all'Ikea,
spacciati come "un presidio di civiltà" per "evitare
i lividi sui pazienti" prodotti dai consueti strumenti di
contenzione fisica. Strumenti di contenzione che intanto continuavano
a essere utilizzati, producendo fratture e traumi vari.
Di
fronte a questa galleria degli orrori il pubblico e i parenti hanno
mantenuto sempre un atteggiamento fin troppo rispettoso. Solo lacrime
e dolore soffocato, nel rispetto di chi avrebbe dovuto assicurare
loro una parvenza di giustizia.
Solo
al termine della requisitoria del PM Pelosi, nella quale erano state
individuate motivazioni e responsabilità di tanta violenza, a
partire dalle figure apicali, si è levato dai banchi in fondo (luogo
di costante presenza delle parti civili) un applauso lungo e
liberatorio.
Eppure
la Stella Maris sapeva. Risultano agli atti violenze compiute in
quella struttura sin dal 2002. E nel 2009 un altro operatore aveva
mandato al pronto soccorso un ospite per una ecchimosi e una frattura
a un dito. E ancora nel 2014, quando lo stesso operatore avrebbe
schiaffeggiato e schiacciato con le ginocchia un adolescente. Davanti
a questa denuncia il direttore Cutajar sospenderà il responsabile,
ma senza licenziarlo. Dalle intercettazioni telefoniche nei colloqui
le dottoresse responsabili della struttura lamentavano di aver
denunciato più volte i dipendenti violenti. «Questi quattro stronzi
dovevano essere mandati via illo
tempore perché
noi abbiamo fatto tutte le segnalazioni all'istituzione, la quale si
è ben guardata dal procedere...».
Ancora
più inquietanti i messaggi dei genitori alla giornalista Maria Elena
Scandaliato della Rai che provava a intervistarli: «Io ho paura. Me
lo dico da sola che è una cosa sbagliata, ma io c'ho mio figlio lì
dentro...». D'altronde il tono degli scambi telefonici tra i
dirigenti della Stella Maris, intercettati, era questo: «I genitori
sono ambigui, però io voglio dimettere tre persone, per dare un
segnale ai genitori eh... Perché loro devono stare attenti!».
E
tutto questo accadeva mentre la struttura di Montalto di Fauglia
propagandava sé stessa con queste parole tratte dalla sua "Carta
dei servizi":
«La
nostra filosofia di intervento è 'prenderci cura' oltre che curare,
ascoltare e coinvolgere sia il paziente che i familiari. […]
La
nostra organizzazione è centrata sul modello del piccolo gruppo di
pazienti condotto da educatori professionali e da assistenti con
funzioni educative, che fungono da 'io' ausiliario o 'compagni
adulti' dei pazienti, che li supportano concretamente e
psicologicamente in ogni atto della vita quotidiana. I diversi
programmi di trattamento sono differenziati sia sulla base dei
protocolli che sulla base delle caratteristiche individuali di ogni
ragazzo che è visto come portatore di affetti, bisogni emotivi,
aspirazioni, competenze».
Hanno
vinto i potenti.
Medici
e sanitari dei reparti psichiatrici (e non solo) hanno avuto
l'ennesima conferma di quella sorta di scudo penale che da sempre li
protegge nell'esercizio delle loro funzioni. Troppe volte come
Collettivo Artaud abbiamo assistito alla cerimonia inconcludente
della giustizia dei tribunali. Questa sentenza assolutoria è solo
l'ennesima di una lunga serie, con la conseguenza che all'aumento
della presunzione di intoccabilità dei sanitari corrisponde un
incremento del ricorso agli strumenti più controversi della pratica
psichiatrica, di derivazione manicomiale: elettroshock, contenzioni,
TSO.
La
Fondazione (privata) Stella Maris continuerà a ricevere
contribuzioni di milioni di euro da parte della Regione Toscana, che
da parte sua si era guardata bene dal costituirsi parte civile al
processo. E, al contrario, si era premurata di premiare l'eccellenza
Stella Maris con il Gonfalone d'argento, massima onorificenza
toscana, proprio nel 2021, quando il processo era nelle sue fasi più
calde.
D'altronde
non si può condannare chi sta spostando ulteriori decine e decine di
milioni di euro. 27.830 mq su quattro livelli, 44 camere per la
degenza, altrettanti ambulatori, 50 sale per l'osservazione
terapeutica, 24.000 mq di parco. Sono le cifre del nuovo ultramoderno
ospedale Stella Maris che sorgerà a Pisa, zona Cisanello. L'inizio
dei lavori è stato inaugurato poco tempo fa in pompa magna da
sindaco, vescovo e autorità varie, compreso il presidente della
Regione. Quelle autorità che non hanno rivolto nemmeno una parola
alla famiglie, di fronte allo scempio del dolore e delle immagini dei
maltrattamenti e di un processo che è andato avanti per anni.
Non
si può sospettare di chi agisce per conto del "Bene". «Nei
nove anni che sono trascorsi dai fatti di Montalto di Fauglia»,
afferma ancora il comunicato di Stella Maris emesso dopo la sentenza
di primo grado, «abbiamo impegnato tutte le nostre energie per
migliorare sempre più le nostre attività riabilitative. Il nostro
compito è sempre quello di dare il meglio con professionalità e
soprattutto con il cuore, imparando dagli errori». A Marina di Pisa,
la struttura che sostituisce Montalto di Fauglia da quando è stata
chiusa, il personale è cambiato. Ma a Marina non può entrare nessun
visitatore, neanche i genitori o i parenti dei ragazzi. Gli ospiti
vengono accompagnati all'esterno dal personale quando i familiari
vanno a prenderli.
Nel
frattempo, all'interno di altre strutture chiuse, dove nessuno entra,
dove non è previsto alcun tipo di controllo sociale, storie simili a
quelle successe alla Stella Maris continuano a ripetersi,
riproponendo intatti i dispositivi delle istituzioni totali. Imperia
(Villa Galeazza), Manfredonia (Stella Maris), Foggia (Opera Don Uva),
Como (Comunità Sacro Cuore), Cuneo (Cooperativa Per Mano), Ivrea
(Ospedale di Settimo Torinese), Siracusa (strutture per disabili e
anziani), Bologna (Villa Donnini), Perugia (Centro Forabosco),
Decimomannu (Centro AIAS), Brescia (Comunità Shalom), tanto per
citare solamente le più recenti. Botte, violenze, contenzioni
meccaniche, maltrattamenti, insulti, umiliazioni.
Giustizia
non è fatta.
Le
pratiche manicomiali sopravvivono intatte e, malgrado le promesse
della legge 180, continuano a seminare dolore. E le strutture che le
utilizzano continuano a presentarsi all'esterno come paradisi di
accoglienza e cura.
Troppe
volte come collettivo Artaud ci siamo trovati a interagire con
persone abusate dalla psichiatria. Troppe volte la giustizia dei
tribunali si è girata dall'altra parte di fronte agli abusi
perpetrati da un modello di psichiatria obsoleto e fallimentare.
Il
potere giudiziario si è rivelato per l'ennesima volta connivente con
il potere psichiatrico.
E
noi continuiamo a pensarla come Fabrizio De André.
«Per
quanto voi vi crediate assolti
siete
per sempre coinvolti»
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud
Collettivo
Antipsichiatrico Antonin Artaud
via
San Lorenzo 38, 56100 Pisa
3357002669
antipsichiatriapisa@inventati.org
artaudpisa.noblogs.org