A Pisa è nato il collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud contro gli usi ed abusi della psichiatria.
Nessuno di noi è psichiatra, psicologo o uno "specialista " della mente ma siamo tutte persone
interessate a contrastare gli effetti nefasti che questa scienza del controllo produce sull'intero corpo sociale.
Ci sembra necessario mettere in discussione le pratiche di esclusione e segregazione indirizzate
a tutti quelli che non accettano il sistema di valori imposto dalla società.
E' arrivato il momento di rompere il silenzio che permette il brutale perpetuarsi di tutte le
pratiche psichiatriche e di smascherare l'interesse economico che si cela dietro
l'invenzione di nuove malattie per promuovere la vendita di nuovi farmaci.
Ci proponiamo di fornire:
- un aiuto legale
- informazione sui farmaci e sui loro effetti
collaterali
- denunciare le violenze e gli abusi della psichiatria

Chiunque è interessato può intervenire alle nostre assemblee che si svolgano
tutti i martedì alle 21:30 c/o lo Spazio Antagonista Newroz in via Garibaldi 72 a PISA
per info : antipsichiatriapisa@inventati.org
3357002669

attivo il nuovo sito del collettivo
www.artaudpisa.noblogs.org

venerdì 24 dicembre 2021

INTERVISTA al Collettivo ANTONIN ARTAUD

 Pubblichiamo l'intervista che ci hanno fatto le persone che gestiscono Cirkoloco . Questo è un progetto che nasce a Firenze nel 2016. All’interno dello spazio dell’Exfila si trova il Cirkoloco, bar sociale che pone particolare attenzione nei confronti di persone con vissuti legati alla salute mentale. Il bar infatti è gestito da personale che ha affrontato, o tutt’ora affronta, disagi psichici e tanti volontari dell’Associazione Bottega del Tempo. L'intervista è uscita sul giornale "L'Eco Loca".

http://www.cirkoloco.it/

Intervista al collettivo Antonin Artaud

Abbiamo incontrato al Cirkoloco alcuni membri del collettivo antipsichiatrico di Pisa "Antonin Artaud". Eravamo curiosi di conoscere le loro idee ed iniziative perché dell'antipsichiatria se ne parla poco, e forse anche a sproposito. Loro sono stati molto disponibili e l'incontro è stato interessante e proficuo. Abbiamo iniziato presentando al collettivo la nostra associazione.

Il nostro consigliere Alessandro ha posto le prime domande: "Cos'è l'Antipsichiatria? Cosa contesta alla psichiatria tradizionale? Che cosa propone in alternativa?".

Ha risposto Alberto:

"Ci chiamiamo collettivo antipsichiatrico perché riteniamo la psichiatria una disciplina medica particolarmente perniciosa e mortificante. È l'unica disciplina medica che obbliga alla cura, in tutte le altre si può scegliere il tipo di cura o non farla. Questo fa sì che gli abusi siano dietro l'angolo. Se andiamo a vedere la storia c'è da mettersi le mani sui capelli e questa situazione non sta cambiando. Il connubio fra aziende farmaceutiche e il controllo sociale tramite la psichiatria causano l'isolamento e la discriminazione di molte persone.

Noi cerchiamo di dare aiuto a chi subisce abusi. Diamo appoggio a chi cerca di uscire dalla psichiatria, diffondiamo una cultura diversa perché della psichiatria si può fare a meno. Non è una questione biologica come vogliono farci credere. Il disagio esiste, anzi è sempre più diffuso. Nessuno psichiatra può esibire un esame, come ad esempio una radiografia, per dimostrare una diagnosi. C'è stato un periodo in cui venivano fatti cadere i muri dei manicomi, ma ormai il manicomio si è diffuso e lo vediamo proprio nel nostro operato. Abbiamo un telefono di ascolto ed anche uno sportello. L'ascolto delle persone, senza pregiudizio, aiuta già tantissimo chi è vittima dello stigma psichiatrico. Stigma che nel contesto attuale con la pandemia rischia di ingrandirsi e rafforzarsi, infatti aver vissuto un periodo senza contatti sociali dovuto alla paura del contagio, lo stress da confinamento e la crisi economica, che sta colpendo ampi strati sociali, ha causato un incremento dei disagi psichici. La difficoltà maggiore è tirare fuori le persone dall'obbligo della cura perché spesso dopo un TSO non ti lasciano in pace. Chi finisce nella rete non riesce più ad uscirne. Noi cerchiamo dei mezzi legali per aiutarle, se è la loro volontà. Non siamo contro gli psicofarmaci a prescindere, siamo per la libertà di scelta delle sostanze da assumere. Gli psicofarmaci, oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, se presi per lunghi periodi alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi ed ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generano fenomeni di dipendenza ed assuefazione del tutto pari, se non superiori, a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Per un periodo ha collaborato con noi una psichiatra che oltre all’ascolto dava importanza all’alimentazione per aiutare le persone in difficoltà. Sono fondamentali anche le relazioni sociali. I farmaci possono aiutare in alcuni momenti, non lo neghiamo, ma a lungo andare ci sono effetti collaterali irreversibili. Sappiamo bene che le persone trattate con psicofarmaci aumentano la probabilità di trasformare un episodio di sofferenza in una patologia cronica. La maggior parte di coloro che ricevano un trattamento farmacologico pesante va incontro a nuovi e più gravi sintomi psichiatrici, a patologie somatiche e a una compromissione cognitiva, fino ad arrivare a possibili casi di suicidio.

La malattia mentale non è il diabete. La maggior parte di queste malattie nascono da conflitti, soprattutto familiari. La famiglia crea un ambiente ristretto dove spesso avvengono conflitti che hanno queste conseguenze. Ci siamo a volte chiesti se diventare associazione, ma noi siamo per deistituzionalizzare la psichiatria. A volte per liberare chi si trova sotto le pressioni e gli obblighi esercitati dagli psichiatri del CIM (Centri Igiene Mentale) l’unico modo è quello di cercare medici psichiatri che utilizzano altri approcci terapeutici non coercitivi disposti a prendere in carico la persona. Uno concreto percorso di superamento delle pratiche psichiatriche passa necessariamente da uno sviluppo di una cultura non etichettante, senza pregiudizi e non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della psichiatria.

Quindi secondo voi non esiste una psichiatria sana?"

"Esistono psichiatri, magari che sbagliano, ma che sono comunque in buona fede. A volte operano per il bene delle persone, perché hanno una visione più sociale però la psichiatria come istituzione è al servizio del potere. Ancora oggi l'impostazione è questa, sia per come viene insegnata nelle scuole, sia per come viene messa in pratica. Fanno ancora gli elettroshock, legano ancora ai letti." A questo punto ci regalano un libro scritto da loro, basato sulle esperienze di alcune persone che hanno ricevuto l'elettroshock. Daniele, un altro membro del collettivo, ci dice che il metodo attuale non è molto diverso dal 1938, nel senso che adesso viene fatta l'anestesia, ma la corrente passa lo stesso attraverso il corpo, con tutte le sue conseguenze. In Toscana, Marche e Piemonte si è tentato di limitare questo trattamento, ma la risposta è stata che per l'articolo 32 della Costituzione è vietato impedirlo.

Non viene generalmente usato nemmeno il consenso informato. Lo scopo dell'elettroshock è causare un attacco epilettico, per far stare meglio i pazienti. C'era anche la logica di far perdere la memoria, sempre con l'idea di migliorare le condizioni dei pazienti.

Giulia, altra consigliera della nostra associazione, prende la parola:

"Alla conferenza nazionale sulla Salute Mentale, dove sono intervenuti una trentina di psichiatri, sembrava di sentire voi. In molti hanno criticato il modello attuale di psichiatria, la responsabile del CSM di Tor Bella Monaca ha detto che qui il problema è la miseria. Che molte persone hanno chiesto l'invalidità perché è l'unico modo per campare. Gli abusi, il modello dell'ambulatorio, il ricovero, il TSO... però se ci fosse un modo alternativo? Se anche chi ci lavora è contrario ad andare avanti così, c'è un modo di aiutare diverso?"

Daniele risponde: "Chi decide se io sto male? Un conto è se lo dico io, e decido insieme a chi mi aiuta come stare meglio. Un conto è se qualcuno decide per me quando sto male e come devo fare, senza interpellarmi."

Alberto conclude: "Se si potesse dire no alla cura, non ci sarebbe più un collettivo antipsichiatrico. Basterebbe questo."

Collettivo Antipsichiatrico "Antonin Artaud" Pisa - 2007 antipsichiatriapisa@inventati.org